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Il ragazzo procede quasi a balzelloni. Con la mano destra sventola una bandierina dell’Italia. Avrà 13 o 14 anni, il volto esprime una sofferta allegria, i movimenti massivi segnalano una diversità motoria e sensoriale. Accanto la madre, vigile e triste. Nessuno dei due indossa la mascherina. Forse lui non riesce a sopportarla, ha l’impressione di soffocare, e forse lei non la mette per non farlo sentire ancora più diverso. Chissà. Sullo stretto marciapiede, incrociano un tipo, bocca e naso coperti come da prescrizione, al fianco un piccolo cane nero. Il giovane, d’impulso, un filo di saliva sulle labbra, gli occhi sgranati, cerca un abbraccio, un contatto, una condivisione.
O magari desidererebbe fare una carezza all’animale. Vuole sentire con il corpo, essere rassicurato, trasmettere a suo modo la gioia di vivere. Ma l’uomo, turbato dal gesto improvviso, fa uno scarto di lato, si gira verso il muro, tirando il guinzaglio. La donna, con voce dolente, ferma il figlio e gli dice, per rassicurarlo, che così, agitando l’asta del piccolo tricolore, spaventa la bestiolina. Un lampo di incredulità fora per un attimo lo sguardo attonito dell’adolescente. Vanno via, proseguono la passeggiata lasciando una scia di rammarico e di doloroso sconcerto.
La distanza sociale produce ferite profonde, inaridisce i cuori, mortifica l’empatia. Chiusi nell’egoismo sanitario, timorosi di ogni contatto, guardiamo con sospetto tutti gli altri. Potenziali untori e chi ha paura di essere unto, un ballo in mascherina al suono della pandemia. Febbre che supera 37 e mezzo? Subito in casa, anche se magari è solo un raffreddamento di stagione o una cistite. Proteggiamo noi stessi anche per proteggere gli altri, ammoniscono gli esperti. Vero. Ma chi protegge il tessuto connettivo della società?
Giuseppe Conte se la canta e se la suona. A sentirlo parlare, sembra di essere tornati a Carlo Alberto, alla Costituzione octroyée, alle gentili concessioni. Ha affermato che i provvedimenti del governo sono ben pensati, ben articolati e ben strutturati. Salvo poi cambiare rotta per le proteste dei vescovi e per cercare di rimediare al pasticcio dei parenti che possono essere visitati. Oltre ai congiunti vengono riconosciuti i rapporti stabili, in una graduatoria dell’affettività stilata da qualche valente esperto che non conosce, per dire, Catullo, Ovidio, Saffo.
I moduli per l’autocertificazione ricordano i lasciapassare ai tempi dell’occupazione nazista. Basta un piccolo sospetto della pattuglia di turno e si finisce nei guai. Certo, il rischio non è la galera ma solo una multa, pur cospicua, eppure lo stato d’animo è sempre quello di una balbettante ansia. Soprattutto perché la confusione delle norme lascia ampio spazio alla discrezionalità degli uomini in divisa. Ed è in ogni caso mortificante dover spiegare i vari dettagli della propria vita.
E poi le aperture annunciate, negate, rinviate. Soldi promessi che non arrivano, persi nel ginepraio della modulistica. Il vero nemico è sempre lo stesso, il burocrate, “anche perché – accusa l’economista Stefano Zamagni- per mantenerlo, per giustificare il suo stipendio, l’unico modo è fargli produrre carte su carte, in un processo autorigenerativo”.
Sentimenti calpestati e diritti negati. Che i decreti della presidenza del consiglio siano contestabili, lo affermano quasi tutti i giuristi. Il vulnus alla sfera della libertà in nome della sanità pubblica è talmente devastante che sarà arduo ricucirlo. La dicotomia tra ricerca di una cura e crisi economica, tra vaccini e conti pubblici, tra prevenzione e produzione, rischia di dare il colpo finale alla democrazia.
Matteo Salvini (in che condizioni saremmo se ci fosse ancora lui al Viminale?) alimenta la ribellione e incita a scendere in piazza, tanto da indurre la più riflessiva Giorgia Meloni a prendere le distanze. E le tante giravolte, e i tragici errori, dei governatori leghisti, obtorto collo, fanno pendere la bilancia della ragionevolezza a favore dell’attuale esecutivo, pur contraddittorio, supponente, irritante, a tratti ridicolo e insopportabile.
La soluzione per sconfiggere il coronavirus, al momento, non ce l’ha nessuno. Su una cosa però non ci possono essere dubbi: l’unica via d’uscita, ora e anche nel caso di recidive o di altre epidemie, è ampliare, rafforzare e garantire un servizio sanitario pubblico all’altezza della sfida. Non c’è altra strada. Non servono divieti ma ospedali. Vogliamo abbracciare il ragazzino del tricolore. Liberi e con le spalle coperte.
Marco Cianca