Lunedì mattina la Cisl ha depositato alla Camera dei deputati gli scatoloni con le firme delle 375.266 persone che hanno sottoscritto la proposta di disegno di legge preparata dalla confederazione per realizzare la partecipazione dei lavoratori, attuando così il disposto dell’articolo 46 della Carta costituzionale. Una grande opportunità per il nostro paese che può compiere un importante passo in avanti in questa strada difficile, ma densa di risultati. In realtà, la proposta di legge della Cisl ha ben poco di operativo, si tratta di una sorta di menu, che indica i diversi tipi di partecipazione possibile, indicando i diversi percorsi per mettere in piedi queste realtà. Servirà un grande lavoro per applicare nel vivo delle relazioni industriali i principi partecipativi.
In altri paesi la pratica partecipativa è già una realtà, soprattutto nei paesi scandinavi e in Germania, dove furono decisivi gli alleati dopo la fine della guerra a imporre questa scelta per sottrarre almeno parte del potere alle grandi famiglie industriali, troppo vicine al nazismo negli anni precedenti. In Italia, dopo la grande intuizione dei padri costituenti che votarono l’articolo 46, l’attenzione alla partecipazione scemò fino a esaurirsi. Fu scelta la via contrattuale che peraltro portò grandi risultati. A remare contro fu certamente la diffidenza padronale, comprensibile considerando che attuando quelle pratiche si incide profondamente sulla realtà delle aziende, fino a una spartizione del potere reale di conduzione delle imprese.
Il mondo imprenditoriale non si è fidato negli anni della capacità, soprattutto della effettiva volontà delle parti sindacali di assumersi le responsabilità che sono connesse a questa diversa allocazione del potere. Hanno sempre pensato che non fossero in grado di condividere il rischio di impresa. Pesava, anche, la polarizzazione del sindacato, con la Cisl sempre pronta a qualsiasi forma di partecipazione, la Uil attenta, ma solo ad alcune forme, la Cgil per lo più contraria ad accettare forme partecipative strutturate. Questa confederazione già ai tempi di Bruno Trentin diffidava della partecipazione finanziaria e in generale non credeva che il modello tedesco, con la partecipazione alla gestione, potesse adattarsi alla realtà italiana, fatta soprattutto di piccolissime e microimprese.
Per questa serie di motivi la scelta cadde sulla via contrattuale. Dai primi anni 70 i grandi contratti nazionali dell’industria si arricchirono con le norme sulla consultazione e informazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti. La cosiddetta prima parte dei contratti, che portò alla nascita di una ampia serie di coordinamenti, commissioni bilaterali e osservatori che hanno abituato negli anni imprese e sindacati a spartirsi le informazioni, a valutare assieme gli andamenti economici, a decidere su tanti aspetti della vita delle aziende.
Nacquero così le diverse forme di codecisione, compartecipazione, codeterminazione, che coinvolsero soprattutto le aziende a partecipazione statale, molto attive in quegli anni. Ricordo personalmente un saluto che Romano Prodi, appena tornato alla presidenza dell’Iri, rivolse ai dirigenti delle diverse aziende che facevano capo a quell’ente in cui spronò tutti a percorrere la via della partecipazione. Fate quello che volete, disse, ma fate un “co-qualcosa” che vi porti a collaborare con le rappresentanze sindacali. E con la prima parte dei contratti vennero anche gli accordi sui premi di produzione, di risultato, che in pratica collegano la retribuzione al destino delle aziende creando un vincolo forte tra lavoratori e imprese.
Adesso, grazie all’azione della Cisl, è possibile far fare alla partecipazione un nuovo, importante passo in avanti. Aiuta a procedere in questa direzione la rinnovata attenzione manifestata dall’andamento delle relazioni industriali alla centralità della persona. È infatti cambiato intimamente il rapporto di lavoro: le aspirazioni, i desideri della persona sono diventati imprescindibili, i diritti del singolo sono al centro dell’interesse delle parti sociali. Il passo verso forme strutturate di partecipazione può essere breve. Anche perché intanto le divisioni all’interno del sindacato si sono quanto meno attutite. Non sono scomparse, ma l’attenzione alle forme di partecipazione è cresciuta in tutte le confederazioni, anche nella Cgil, certamente interessata ad allargare le forme di partecipazione. E anche da parte delle imprese c’è un interesse diverso, tanto è vero che il Patto della fabbrica, l’ultimo grande accordo interconfederale, del 2018, prevede che si sviluppi la partecipazione organizzativa, ma sollecita anche esperienze per condividere la governance delle aziende. Affermazioni che solo qualche anno fa erano impensabili.
Manca la politica. I partiti sono poco attenti a questo tema, è difficile pensare a iniziative che incidano realmente sulla realtà del confronto all’interno delle aziende. Giorgia Meloni recentemente, nell’ultimo incontro con le parti sociali sui temi della previdenza, ha detto di essere interessata al tema partecipativo, ma è difficile che si faccia promotrice di qualcosa. Perché qualsiasi accordo in tal senso porterebbe potere al sindacato. Ed è proprio questo che lei non vuole.
Massimo Mascini