La positiva (e sofferta) conclusione dell’affaire Quirinale non ha pacificato il mondo della politica. Dopo appena due giorni sono tornati i dubbi e i tentennamenti della Lega che non ha esitato a disertare un consiglio dei ministri e a non votare un importante decreto in merito alla scuola. Negli ambienti vicini a Matteo Salvini assicurano che questo non è un segnale di estraneità nei confronti del governo, né di precarietà della maggioranza. Il dubbio però rimane e forte, proprio perché questa era la prima uscita dopo le estenuanti giornate quirinalizie e un po’ di tranquillità non guastava. Draghi però ha fatto capire di non essere assolutamente intenzionato a seguire questi comportamenti tortuosi, ma di voler andare spedito nella direzione ormai segnata.
Anche perché comincia adesso un periodo molto delicato per il nostro paese. L’attuazione del Pnrr è entrato nella fase viva e non sono ammessi ritardi o ripensamenti. Nei primi sei mesi dell’anno devono essere raggiunti una serie importante di obiettivi e non si tratta solo di legiferare decreti, ma di operare sul campo per realizzare questi target. E’ evidente che serve un governo nel pieno delle sue funzioni, che sappia prendere i provvedimenti necessari, anche, ove non si possa fare altrimenti, sostituendosi a enti locali pigri o in difficoltà. Del resto, la conclusione della corsa alla ricerca di un capo dello Stato per i prossimi sette anni è stata dettata proprio dall’impossibilità di alterare quel ruolino di marcia che il governo aveva fissato e che adesso deve rispettare.
E se la politica dovrebbe adeguare la propria azione a questa necessità, nonostante tra un anno e poco più si torni a votare per le Camere, lo stesso dovrebbero fare le parti sociali, imprenditori e sindacati. La scelta migliore sarebbe quella di un grande patto sociale che metta tutti d’accordo, come quello che Bonomi e Draghi avevano prospettato all’assemblea di Confindustria, ma al momento non sembra possibile arrivarci. Maurizio Landini non ha fatto mistero della sua ritrosia a stringere accordi del genere, preferendo intese settoriali che aggrediscano e magari risolvano problemi urgenti, ma lasciando libere le mani per una politica differente da quella obbligata in caso di patto generale. Del resto, la scelta dello sciopero generale di Cgil e Uil del dicembre scorso proprio questo obiettivo si era fissato, dimostrare di non avere legami, di volere libertà di azione.
In realtà, un patto generale a largo tratto tutto compreso è più facile da realizzare, perché più ampia è la materia trattata, più ciascuna parte può facilmente trovarvi la sua convenienza. Sale alla memoria il patto sulla scala mobile che Enzo Scotti, ministro del Lavoro in un governo Fanfani, raggiunse nel 1983. La materia scottava, le posizioni erano lontane, ma l’urgenza di un patto era forte con un’inflazione sopra il 20%. Scotti riuscì nell’impresa non certo giocando alle tre carte con i suoi interlocutori, come malignamente si accreditò, ma perché il ministro aveva allargato quanto più aveva potuto la materia trattata, includendovi altre materie, compresi i grandi rinnovi contrattuali dell’industria in pendenza, la misura degli aumenti salariali da stabilire in quell’occasione, la gestione del mercato del lavoro, sprazzi di politica industriale. Alla fine tutti avevano guadagnato qualcosa e, contenti, avevano firmato il patto.
Stavolta non sarà forse possibile, ma la strada resta quella del dialogo, alla ricerca di accordi mirati se non proprio generali. Ma le parti sociali devono apprestarsi a questa evenienza con grande disponibilità, nella coscienza che forse mai come adesso occorre giocare a carte scoperte. L’entità e l’importanza delle riforme che l’Italia è chiamata dal Pnrr a realizzare non lasciano dubbi perché si tratta delle stesse riforme che da anni e anni si discutono, ma non sono mai state attuate proprio perché l’impresa era difficile, perché i veti incrociati hanno impedito di arrivare all’accordo. Ma sono punti capitali di quella ripresa che il nostro paese, in accordo con l’Ue e grazie alle risorse che questa ha messo a disposizione, ha scelto di fare e costituiscono l’occasione, da non perdere, di fare un salto di qualità. E’ in questo modo che le parti sociali possono dimostrare di essere davvero soggetti politici. Si è discusso a lungo della volontà di Maurizio Landini di assumere un ruolo diverso, più da protagonista. Non è la prima volta che nel sindacato si discute di questo passo, tante volte i sindacati, ma anche le associazioni imprenditoriali, hanno dimostrato di avere la capacità, la grinta, il carattere per assumersi ruoli importanti nella vita politica del paese. In fin dei conti non devono fare molto di più, solo andare avanti con decisione, ma sapendo che un accordo non vede mai una sola parte vincere, la soluzione vera è quella degli accordi win win dove ciascuno porta a casa un risultato importante. Basta volerlo, crederci, i risultati arrivano e sono importanti per tutti.
Massimo Mascini