Il grande risultato della manifestazione del 25 ottobre della CGIL è la dimostrazione della forza di mobilitazione del più grande sindacato italiano. E le centinaia di migliaia di lavoratori e di giovani che vi hanno aderito smentiscono tutti coloro che sostengono che parole come “ lavoro, dignità e uguaglianza” siano effetti senza causa; concetti superati , figli di narrazioni novecentesche ormai obsolete, e dunque ormai privi di senso in quella post-modernità che è il tempo presente senza passato di Renzi . I partecipanti alla grande manifestazione, di cui oltre un terzo, secondo le interviste fatte, cittadini comuni non iscritti al sindacato, hanno manifestato contro il governo e la sua politica senza fare sconti a nessuno neanche al segretario del partito a cui molti sono iscritti e che hanno votato. Una manifestazione che ha potuto contare , forse per la prima volta, su una partecipazione intensa dei collettivi studenteschi che nel passato non hanno risparmiato critiche, anche pesanti, al sindacato e in modo particolare alla CGIL.
La CGIL dunque ha vinto una sfida , non scontata, ed ora deve riuscire a capitalizzare la sua grande forza di mobilitazione e ottenere una modifica del Jobs Act almeno negli articoli più indigesti , in primis quello sull’articolo 18.
Rimane tuttavia un duplice problema. Il primo riguarda la sua capacità di convincere la Politica, ovvero sia il PD e i suoi parlamentari, a non ignorare le richieste di parte importante del mondo del lavoro. Il secondo riguarda la rappresentanza che la CGIL ha nei confronti di quella quota crescente di lavoro atipico, precario o con partita d’Iva di cui tutti sindacati , ivi compresa la CGIL, ne hanno sottovalutato la straordinaria pervasività.
Landini ha più volte sostenuto che la CGIL deve superare il collateralismo verso la politica e recuperare una autonomia persa. Difficile dargli torto; questo però non significa che la CGIL debba essere priva di una propria “proposta politica” per uscire dalla crisi. Anzi la vera sfida comincia oggi ed è quella di riuscire ad elaborare una piattaforma “comprensiva” anche degli interessi di quelle fasce del lavoro finora non rappresentate.
E’ ormai chiaro che una proposta che non rompa con la migliore tradizione operaia degli ultimi 50 anni non potrà trovare spazio nel partito da “red carpet” in cui Renzi ha trasformato il PD. Un partito in cui è ormai legittimo anche mettere in discussione il diritto allo sciopero dei lavoratori pubblici, come ha fatto l’ascoltato guru della finanza Serra, è difficilmente compatibile con quanti a quella tradizione e ai valori che questa esprime, si richiamano. E difficilmente una inversione di rotta potrà determinarla la sparuta delegazione della Sinistra PD o altri , come il Presidente della Puglia Vendola, che, non richiesti, si sono candidati a colmare il vuoto politico che avvolge Susanna Camusso e la sua organizzazione
Matteo Renzi va avanti per la sua strada, forte di una sicurezza che sembra inarrestabile, ma le recenti vicende del nostro paese insegnano come tra gli effetti collaterali della post modernità, a cui il Presidente del Consiglio si richiama, ci sia una liquidità sostanziale che rende d’improvviso instabili anche le posizioni apparentemente più solide.
Roberto Polillo