La contrattazione aziendale è viva e lotta insieme a noi. Almeno a livello di grande gruppo. Questa potrebbe essere la conclusione provvisoria, a poche ore dalla sigla dell’accordo tra Finmeccanica e i sindacati dei metalmeccanici avvenuta stamattina a Roma. Perché provvisoria? Perché la sigla, formalizzata dopo una notte di trattativa svoltasi presso la sede dell’Unione industriali, a via Noale, non è ancora la firma definitiva. Firma che potrà essere apposta in calce alle 119 pagine dell’accordo solo se e dopo che l’intesa sarà stata approvata dai lavoratori nell’apposito referendum che dovrà concludersi entro l’11 marzo.
Bisogna tuttavia tenere presente, oltre alla dimensione dell’intesa (119 pagine, come si è detto), anche il tempo che ci è voluto per definirla, e cioè quei 4 mesi e mezzo che sono passati dal 17 settembre 2015, giorno di apertura del negoziato, al 2 febbraio 2016, giorno della sua conclusione. Mesi non privi di momenti di difficoltà e, comunque, punteggiati da incontri frequenti e numerosi. E’ quindi ragionevole immaginare che il testo oggi approvato dalle delegazioni di Fim-Cisl. Fiom-Cgil e Uilm-Uil sia stato costruito in modo tale da poter ottenere anche il consenso dei circa 28.000 dipendenti di Finmeccanica.
Ora dire che un accordo aziendale è la dimostrazione del fatto che la contrattazione di secondo livello è ancora viva, potrebbe apparire come una banalità, se non come una tautologia. Ma di questi tempi le cose non stanno così. Si può anzi dire che l’accordo Finmeccanica venga a costituire un modello che si pone come diverso sia rispetto all’accordo Fca del 2015, sia rispetto alla proposta di modello contrattuale avanzata da Federmeccanica nella trattativa in corso per il nuovo contratto dei metalmeccanici.
Perché un terzo modello? Perché, da un lato, l’accordo italiano di Fca ha consentito a Marchionne di dare sostanza strategica al modello contrattuale, creato nel dicembre 2011, quale alternativa al classico schema italiano basato su due livelli. Ha cioè reso vitale un modello in cui l’accordo di gruppo, e sia pure di grande gruppo (Fca + CnhI), riassume in sé tutti e due i livelli assumendo, di fatto, il ruolo di accordo di primo livello. All’opposto, la proposta recentemente avanzata da Federmeccanica – almeno nell’interpretazione, sia pur variegata, datane dai sindacati – sembra voler puntare a un modello in cui la crescita del potere d’acquisto delle retribuzioni è interamente demandata al secondo livello, lasciando al contratto nazionale la fissazione delle regole generali su tutti gli altri punti del negoziato.
L’accordo raggiunto oggi a via Noale rimane invece improntato al modello contrattuale basato su due livelli. Infatti, il nuovo premio di risultato di Finmeccanica, che entrerà in vigore dal 2017, presuppone l’esistenza di un salario base definito nel contratto nazionale. Salario base rispetto al quale il premio di risultato rappresenterà una cifra aggiuntiva.
Ciò è tanto più significativo se si pensa che la Finmeccanica di Mauro Moretti è tutto meno che un’azienda ancorata al passato. Si può anzi dire che l’accordo odierno sia un tassello, non secondario, di una strategia aziendale aggressiva in termini competitivi e tutta rivolta al futuro.
A monte di tutto c’è il Piano industriale 2015-2019, varato l’anno scorso per volontà di quello che era, allora, il nuovo Amministratore delegato dell’azienda presieduta da Gianni De Gennaro. Piano che aveva un suo passaggio decisivo nella fusione delle diverse aziende, che fin lì avevano fatto parte del gruppo Finmeccanica, in un’unica più grande azienda. In altre parole, nella trasformazione della stessa Finmeccanica da holding presente, con le sue aziende, in vari campi dell’industria metalmeccanica, trasporto ferroviario compreso, a impresa direttamente operativa e concentrata in tre settori: aerospazio, difesa e sicurezza. Settori, per altro, fra loro collegati e accomunati dall’essere tutti caratterizzati dalla collocazione fra quelli a più alta tecnologia.
Come il Diario del lavoro ha già raccontato, nei disegni dell’azienda la trattativa avviata a settembre scorso era finalizzata all’armonizzazione e quindi all’unificazione dei vari accordi vigenti nelle diverse aziende che dovevano fondersi in base al modello della cosiddetta One Company. Proprio in quest’ottica, il nuovo gruppo dirigente guidato da Moretti si era proposto di chiudere la trattativa entro dicembre 2015, ovvero prima della nascita della nuova Finmeccanica. Ma, nel corso del confronto con le delegazioni sindacali, la delegazione aziendale – guidata da Domenico Braccialarghe, responsabile Risorse Umane e Organizzazione – ha compreso che una trattativa necessariamente complessa ha bisogno di maturare entro una tempistica adeguata.
L’accordo è quindi arrivato oggi. Ma, dal punto di vista dell’immagine aziendale, è quasi meglio perché, dopo la partecipazione al Bahrain Airshow, in gennaio, quest’intesa sindacale costituisce un’altra delle prime tappe del percorso della nuova Finmeccanica di Moretti. Ovvero di un’azienda che firma con i sindacati un accordo, anche innovativo, nel momento stesso in cui dichiara, nella Premessa all’intesa, che essa si colloca in uno scenario caratterizzato, a livello globale, da una “elevata instabilità” e da una “sempre maggiore competitività”. Scenario in cui l’azienda avverte quindi la necessità di realizzare un “significativo miglioramento in termini di posizionamento competitivo”. Tanto più è significativo che l’intesa stessa preveda di introdurre un nuovo premio di risultato “orientato a promuovere e sostenere un approccio costruttivo e dinamico dei lavoratori al miglioramento dei risultati aziendali, valorizzando la correlazione tra i compensi corrisposti e i risultati ottenuti”.
Da notare che questo premio di risultato, che, come si è detto, comincerà a funzionare dal 2017, sarà basato su tre indicatori. Il primo, relativo al rendimento, sarà riferito ai risultati complessivi di Finmeccanica. Il secondo, anch’esso relativo al rendimento, sarà invece riferito ai risultati raggiunti dalle varie Divisioni, frutto della trasformazione delle vecchie aziende del gruppo in base al modello della One Company. Il terzo indicatore, infine, sarà collegato ai risultati produttivi dei singoli siti. Tutto ciò, con particolare soddisfazione dei sindacati, darà un ruolo anche alle rappresentanze sindacali elette dai lavoratori che, a livello di Divisione o di sito produttivo, potranno partecipare alla definizione di parametri produttivi e al monitoraggio degli andamenti aziendali.
Più in generale, e con la necessaria prudenza, si può forse dire che impresa e sindacati hanno accettato reciprocamente quella che potremmo definire come scommessa partecipativa. E ciò sia per il sistema di relazioni industriali rinverdito dall’accordo, sia, ancora, per il riconoscimento assegnato al ruolo produttivo dei lavoratori, e sia, infine, per l’insieme di misure di valorizzazione della risorsa-lavoro, che vanno dal diritto alla formazione professionale all’estensione della sanità integrativa. Temi, questi ultimi, che sono ben presenti anche nella trattativa in corso con Federmeccanica.
Concludendo, pare di poter dire che, nel nuovo modello Finmeccanica, un costruttivo rapporto fra azienda e sindacati venga visto come un veicolo per strutturare e incrementare, nell’ambito di un disegno competitivo, un proficuo rapporto fra azienda e lavoratori. Ora è vero che non tutta l’industria metalmeccanica italiana è fatta di imprese di alta tecnologia. Tuttavia non è forse impossibile che l’accordo Finmeccanica abbia qualche riverbero positivo anche sulla trattativa per il contratto nazionale della maggiore categoria dell’industria.
@Fernando_Liuzzi