Nella legge di bilancio 2021 gli “esodati” avranno la nona salvaguardia; altri 2.400 potranno andare in quiescenza con le regole vigenti prima della riforma Fornero. Ovviamente, i vari comitati si metteranno in movimento per ottenere la decima, essendo quelli tuttora esclusi dal “répechage” 6mila. Ma anche un governo spendaccione ha dei problemi di cassa. Come un tempo si diceva che l’Egitto è un dono del Nilo, così gli “esodati” sono un prodotto mediatico. La loro vicenda, anni or sono, era divenuta una telenovela a reti unificate. Così un problema reale – effettivamente creato dal brusco innalzamento dei requisiti pensionistici, anagrafici e contributivi, dettati dalla riforma Fornero – in gran parte risolto già con la prima sanatoria, è divenuto un ‘’ritorno al passato’’ per quasi 200mila pensionati i cui trattamenti si sono aggiunti – col vantaggio delle vecchie regole – al flusso consistente, anno dopo anno, dei pensionamenti anticipati/anzianità. Tanto da far scrivere all’UPB in un Focus del 2016, redatto quindi dopo la 7° salvaguardia: ‘’se la sequenza degli interventi di salvaguardia dovesse continuare emergerebbe con sempre maggiore chiarezza il progressivo cambiamento di obiettivo di queste misure: non un esonero indirizzato in maniera specifica ai lavoratori che si trovano in difficoltà economica negli anni tra la cessazione dell’attività e la percezione della prima pensione a causa delle modifiche introdotte dalla riforma Fornero (cioè gli esodati in senso stretto), ma una soluzione per mettere al riparo platee più ampie e non necessariamente, o non tutte, danneggiate in maniera diretta dalla riforma, utilizzando le salvaguardie come surrogato di politiche passive del lavoro o di altri istituti di welfare oggi sottodimensionati o assenti”. La tecnica usata non è stata quella di ampliare le macro-categorie di lavoratori tutelate gradualmente estese a sette 1) in mobilità, 2) a carico di Fondi di solidarietà, 3) autorizzati al versamento volontario della contribuzione, 4) in esonero dal impiego pubblico, 5) in congedo/permesso per assistere figli/familiari con disabilità grave, 6) cessati dal lavoro sulla base di accordi, 7) cessati dal lavoro per scelta unilaterale (applicabile anche alla conclusione dei contratti a tempo determinato). La definizione operativa delle suddette sette macro-categorie si è modificata nel tempo in senso espansivo allungando gli ambiti di copertura. Analizzando l’evoluzione delle categorie salvaguardate, si evince che gli ampliamenti più significativi sono stati:
• lo spostamento in avanti della data entro cui devono esser perfezionati i requisiti per la decorrenza della pensione all’interno delle regole pre-riforma Fornero: dal 6 dicembre 2013 della prima salvaguardia al 6 gennaio 2017 della settima;
• l’inclusione dei lavoratori percettori di cassa integrazione guadagni al 21 novembre 2014, con rapporto di lavoro che vada a cessazione entro il 30 dicembre 2016 per collocamento in mobilità;
• lo spostamento in avanti della data di cessazione del lavoro: dal 4 dicembre 2011 della prima salvaguardia al 31 dicembre 2014 della settima (sebbene riferito non a tutti i cessati ma a un sottogruppo specifico);
• l’allargamento delle fattispecie di cessazioni rilevanti: inizialmente solo quella determinata da accordi tra le parti, poi anche quella per atto unilaterale, poi anche la cessazione tout court (come naturale esaurimento del contratto) anche se riferita solo ai contratti a tempo determinato;
• l’allentamento del vincolo sulla non-ripresa di altra attività di lavoro dopo la cessazione: dapprima assoluto, poi riferito a tutti contratti a tempo indeterminato e ai contratti di altra natura di importo superiore a un massimale retributivo, poi riferito solo ai contratti a tempo indeterminato permettendo ogni
altro tipo di contratto senza massimali di retribuzione;
• l’allargamento della casistica della mobilità: prima solo l’ordinaria, poi anche quella in deroga, infine anche il trattamento speciale edile;
• la previsione di una soluzione di continuità non superiore a dodici mesi per i soggetti in mobilità tra la fine dell’intervento dell’ammortizzatore sociale e il raggiungimento dei requisiti per il diritto a pensione;
• la previsione per i soggetti autorizzati alla prosecuzione volontaria di ottenere la salvaguardia anche se non avessero versato alcun contributo volontario, ma che tale contributo fosse anche solo accreditabile.
In sostanza l’operazione ha riportato all’interno dei requisiti previgenti (e più vantaggiosi di Ape sociale e di Quota 100, misure snobbate dai candidati all’esodo) lavoratori che quei requisiti avrebbero maturato entro parecchi anni dopo l’entrata in vigore della riforma del 2011. In sostanza, stime fatte dopo l’VIII salvaguardia indicavano in circa 12 miliardi (di minore risparmio attribuito alla riforma) l’effetto a regime delle salvaguardie.
Giuliano Cazzola