Qualunque sia l’opinione sul ministro della Pubblica Istruzione Lucia Azzolina, non si può darle torto quando dichiara di essere molto preoccupata, perché “oggi la Dad non può più funzionare, c’è un black out della socialità, i ragazzi sono arrabbiati, disorientati ed sono preoccupata per il deflagrare della dispersione scolastica”. E quando aggiunge: “Il rischio zero non esiste, ma non esiste in alcun ambito. All’interno delle scuole il rischio è molto basso e lo testimoniano gli studi italiani ed europei”. Le medesime considerazioni provengono da Agostino Miozzo, presidente del Comitato tecnico scientifico (Cts) il quale ha ripetutamente espresso forti preoccupazioni per il caos che sta travolgendo la scuola come se fosse l’ultimo dei problemi che il Paese deve affrontare: “La scuola non è esente da rischi ma si può convivere con il rischio. Dobbiamo valutare – ha proseguito Miozzo – area per area se le condizioni esterne alla scuola sono state soddisfatte. Se non si entra nella logica del rischio accettabile la scuola resterà chiusa con la didattica a distanza fino a settembre – ottobre, quando l’immunità di gregge sarà raggiunta”. Nel giorno previsto per la riapertura delle scuole superiori solo tre regioni hanno rispettato le indicazioni, le altre hanno sconfessato il governo secondo un calendario articolato come se si fosse aperta una competizione tra chi riaprirà il più tardi possibile. Peraltro, la data indicata non è quasi mai sicura, perché il “contrordine” con lo spostamento in avanti può venire da un momento all’altro. A queste critiche si risponde che abbiamo a che fare con un “nemico” imprevedibile che ci costringe a stare al suo gioco. Resta comunque un dato di fatto che nessuno è in grado di smentire: la relativa sicurezza degli ambienti scolastici, grazie alle indicazioni operative e all’impegno dei dirigenti e del personale docente ed amministrativo. Ciò che offende di più è l’atteggiamento che si percepisce da parte dei “decisori”: sembra esservi quasi un sentimento di stupore per le proteste degli studenti, come se dovessero, invece, essere contenti di marinare la scuola per disposizione superiore. Un singolare presidente di Regione non ha esitato a prendere in giro in diretta tv una ragazzina che chiedeva di poter tornare in classe. Anche perché – si fa capire – che la scolarizzazione figurativa porta con sé la promozione effettiva. Ma veniamo alla Dad, senza banalizzare il contributo che la tecnologia ha fornito all’insegnamento e soprattutto quello che può fornire in futuro e pur riconoscendo che – come per lo smart working – il trauma della pandemia ha accelerato processi che sonnecchiavano da tempo. Esiste un bilancio di questa esperienza? Non risulta che sia stato in grado il ministero di raccogliere e diffondere le “buone pratiche” (anche se sono state impartite linee guida). E’ tuttavia recente un rapporto dell’INAPP che propone un monitoraggio interessante e documentato della Dad.
“Il nuovo e improvviso riassetto – scrive l’INAPP – non è avvenuto senza ripercussioni nonostante i processi di riforma, di digitalizzazione e di innovazione che la scuola aveva già da tempo avviato. Infatti, la precipitazione degli eventi pandemici non ha dato il tempo al corpo docente di adeguarsi tecnologicamente e metodologicamente, per cui la didattica online è stata utilizzata prevalentemente come un surrogato della didattica in presenza, trasportando la modalità di insegnamento frontale dalle aule al virtuale”.
Sul versante tecnologico i docenti (che hanno risposto alla survey on line messa a punto dal 21 maggio al 21 giugno 2020) hanno confermato le difficoltà di connessione causate da una rete internet inadeguata anche in conseguenza della condivisione della banda con conviventi che contemporaneamente hanno avuto l’esigenza di lavorare da remoto o seguire anch’essi le lezioni online. Il 40,7% dei rispondenti ha dichiarato di convivere con una persona che aveva necessità di telelavorare e il 32,5% di convivere con uno studente in didattica a distanza. Nel 20,3% dei casi le persone in telelavoro sono più di una, nel 35,3% gli studenti sono più di uno. Gli insegnanti, e tutte quelle categorie di lavoratori che durante il lockdown non hanno potuto usufruire della flessibilità dei tempi e degli orari di lavoro che poteva offrire lo smart working, hanno subito un carico aggiuntivo di efficientamento in termini di dotazione di device, prestazione della rete internet, adeguatezza delle postazioni di lavoro/studio. La carenza tecnologica ha probabilmente contribuito a elevare i fattori di stress dei docenti che in DaD è stimato significativamente accresciuto rispetto al lavoro tradizionale anche in una situazione non compromessa dal punto di vista della connessione alla rete internet. La necessità di avere una connessione stabile per portare a termine efficacemente le attività di didattica online ha incoraggiato molti docenti ad attivare nuove tipologie di accesso alla rete più performanti. Tuttavia, una percentuale non trascurabile degli insegnanti rispondenti afferma che la connessione casalinga non è stata sufficiente per gestire la didattica online. Relativamente alla variazione del carico di lavoro in DaD rispetto alla didattica tradizionale, il corpo docente esprime un giudizio polarizzato a seconda del grado scolastico, diminuito per chi lavora nei nidi/infanzia, invariato per chi lavora nel terzo ciclo dell’istruzione, mentre è aumentato per i lavoratori e le lavoratrici degli altri ordini di scuola. Verosimilmente – prosegue il rapporto – gli educatori e le educatrici dei nidi e delle scuole dell’infanzia hanno beneficiato, nel periodo di sospensione della frequenza scolastica, di una ridotta richiesta di interazione con la propria utenza a causa della loro giovanissima età, mentre i docenti universitari, presumibilmente, hanno potuto contare sull’elevato grado di autonomia dei loro studenti, che ha condizionato il loro carico di lavoro in maniera limitata. In conclusione, il sistema dell’istruzione, trovandosi nella burrasca del mare aperto dell’emergenza sanitaria, ha utilizzato la ‘scialuppa’ della didattica a distanza per rientrare in un porto sicuro – lo stile dell’INAPP assume toni lirici – con tutto il proprio carico di lavoratori e studenti. Aver remato nella stessa direzione ha permesso la conclusione dell’anno scolastico (2019-2020) garantendo la continuità degli apprendimenti e della relazione educativa fra insegnanti e studenti, pur in uno scenario che ha restituito in maniera amplificata le criticità croniche della scuola (organico insufficiente, scarsa formazione sulle ICT, risorse carenti ecc.). Tuttavia, l’estrema variazione e fluidità della situazione epidemiologica nazionale – è sempre una valutazione dell’INAPP – non deve configurarsi come un ostacolo alla necessità di programmazione delle politiche dell’istruzione quale asset fondamentale del Paese. I provvedimenti futuri dovranno bilanciare gli effetti immediati dell’ eventuale chiusura con quelli di lungo periodo anche, e non solo, in termini di benefici e rischi per gli studenti e per i lavoratori della scuola. Un numero rilevante di docenti, inoltre, afferma di voler utilizzare le nuove tecnologie, dopo questa esperienza, anche nella futura didattica in presenza e di voler approfittare dei benefici delle piattaforme per le videoconferenze e la gestione di riunioni online per la realizzazione di attività collaterali alla didattica, come i colloqui con studenti/genitori e i consigli di classe o di dipartimento. A noi sembra che questo sia un modo corretto di procedere: quello di mettere il più possibile la tecnologia al servizio della didattica in presenza.
Giuliano Cazzola