“Il potere è un camaleonte al contrario: tutti prendono il suo colore” recita così un detto dello scrittore brasiliano Millor Fernandez. E’ un rischio che si corre in tempi nei quali il disfacimento di un vecchio sistema politico non ha ancora prodotto reali e nuovi equilibri come avviene nel nostro Paese. Ci vorrà tempo e la fase politica già battezzata come trasformismo (chissà se Depretis, Crispi e Giolitti sarebbero contenti, forse nemmeno Benedetto Croce assentirebbe) sembra invece assomigliare più ad un passaggio nel quale le trasformazioni si susseguono in cerca di assetti oggi ancora inespressi.
La crisi politica dell’estate però lascia anche delle tracce sulle quali sarebbe sbagliato non riflettere: intanto è la prima resa dei conti con un sovranismo che in Europa non ha sfondato e che per il momento deve fare un sostanzioso passo indietro. Certo, l’Europa ha di fronte a sé prove difficili ed attese dei popoli che sarebbe micidiale disattendere, ma intanto il messaggio di odio, di egoismo, di distruzione della comune casa europea è stato respinto. L’Italia è il primo laboratorio in questo senso che si è…attivato.
In secondo luogo le venature autoritarie che stavano “colorando” la vicenda politica sempre più a tinte inquietanti per il destino della democrazia sono state anch’esse ricacciate indietro. Non ha preso il posto un progetto di società, ma non sono neppure compromesse le possibilità che esso diventi un cantiere concreto per il futuro del Paese. Difficile credere alle promesse di mitezza espresse dal Presidente del Consiglio Conte, se non altro perché la litigiosità politica resta una delle componenti inevitabili del periodo, ma si può legittimamente sperare che il tempo delle invettive facili e volgari, della delegittimazione dell’avversario politico, del picconamento continuo del ruolo delle Istituzioni possa lasciare il posto ad una rivalutazione di comportamenti politici e metodi di confronto più civili, più costruttivi, meglio collegati a proposte in grado di affrontare sul serio i molti problemi che abbiamo di fronte.
L’economia sarà come sempre un severo banco di prova. E a questo proposito va osservato che l’Italia con la nuova maggioranza e le intese che l’hanno determinata sotto l’attento sguardo del Quirinale può ritrovare in Europa un ruolo consono alle sue tradizioni ed alle sue aspettative. L’isolamento internazionale in cui si stava precipitando a vantaggio di “appoggi” opportunistici da parte delle potenze mondiali quasi sempre in funzione antieuropea, ma come tali effimeri e già in via di …superamento, è stato evitato e questo è senza dubbio un passo in avanti importante. Lo hanno ben compreso i mercati con lo spread che è sceso rapidamente ed in modo tanto sostanzioso da garantire per il futuro un risparmio d diversi miliardi, l’opposto dell’aggravio che nel recente passato si stava accumulando minacciosamente sulle casse dello Stato.
Le stesse decisioni “finali” di Mario Draghi alla Bce con il proseguimento di politiche monetarie espansive, offre opportunità stimolanti per la nostra economia reale a patto che si avvii rapidamente una nuova stagione di investimenti pubblici e privati.
Lo scenario è certamente meno negativo di qualche tempo fa, anche se questo non elimina gli interrogati su cosa voglia essere e fare l’Europa nei prossimi anni. Ma solo forze convintamente europeiste possono incalzare Bruxelles ed i Governi al fine di aprire davvero una stagione di riforme sostanziali dell’attuale modello europeo che rimetta al centro ad esempio l’Europa sociale e i temi del lavoro.
Da noi il primo appuntamento sarà la discussione sulla nuova Legge Finanziaria. Le dichiarazioni programmatiche recentemente ascoltate in Parlamento non debbono illudere: buoni propositi ma ancora generici. Saranno le priorità (e le risorse a disposizione) a fare la differenza. Ed il movimento sindacale non può non battersi perché questa volta siano i problemi dell’equità, delle diseguaglianze, dell’abbandono del Sud, della rinascita industriale a guidare le mosse della politica economica.
In questo senso il confronto politico e sociale è ad un bivio: se procedere con le leggi (che comporta anche la sopravvivenza di una certa dose di autoreferenzialità che però non ha prodotto buoni risultati…), strada legittima ma non la migliore per rivitalizzare la vita democratica; oppure scegliere un cammino certamente più impervio ma assai più capace di dare stabilità e coesione: quelli di percorsi di riforma, graduali, realistici ma con una direzione di marcia che va definita con il concorso delle forze sociali che oggi, lo si voglia o no, costituiscono l’unico vero blocco sociale su cui fare affidamento in tempi nei quali i grandi partiti non ci sono più, la frantumazione sociale è evidente, le innovazioni dell’era tecnologica portano alla ribalta nuovi protagonisti. Non si tratta come nel passato di…chiedere aiuto alle forze sociali; si tratta piuttosto di ripristinare le ragioni di un dialogo e di una competizione sulle idee che da troppo tempo manca nel nostro Paese e che invece può ravvivare la partecipazione democratica.
Perché un punto non va dimenticato in questa ancora per non pochi versi confusa condizione politica del Paese: tornare a Palazzo Chigi non vuol dire assolutamente aver riconquistato il consenso degli italiani. L’errore più grande che in particolare le forze che si definiscono riformiste potrebbero fare è quello di considerare il ritorno al Governo come un atto che sancisce lo scampato pericolo (accenni di questo tipo si sono sentiti di recente a Cernobbio) , con la conseguenza di poter ripristinare vecchi riti, consorterie di potere, alleanze lontane dalla realtà sociale che ha bisogno di scelte di cambiamento, dai giovani ai pensionati, dal lavoro dipendente alle partite Iva, ai cittadini che avvertono nella politica ambientale una vera necessità per la qualità della vita e del lavoro. Esigenze di diverso spessore, non facili da comporre, tutte ineludibili e quindi con l’esigenza comune di poter contare su una classe dirigente che abbia come prima preoccupazione la soluzione delle questioni cruciali per lo sviluppo di cui sono portatori.
Altro cambiamento fondamentale dovrebbe essere quello di restituire maggiore libertà ai comportamenti collettivi ed in questo senso diventa un banco di prova centrale anche la qualità dell’informazione che in questi ultimi tempi francamente lascia a desiderare anche se non si deve fare di ogni erba un fascio. Si deve comprendere altresì che certe esasperazioni di natura ideologica alla lunga compromettono le ragioni della democrazia: pensiamo al filo rosso dell’odio politico coltivato da anni su temi come l’art. 18 e poi confluito in un rigetto tout court della politica con danni evidenti all’edificio democratico.
L’occasione di rimettere i piedi per terra, di recuperare valori utili alla convivenza civile, molti dei quali presenti nella migliore tradizione riformista, sembra poterci essere. Il sindacato può svolgere un ruolo propositivo e di spinta di grande intensità ed efficacia. Torna di attualità il nodo della rappresentanza sindacale. Bene, ma sarebbe terribilmente contradditorio affrontare il tema mentre non si ha la volontà di considerare i soggetti sindacali come interlocutori importanti se non necessari per uscire dalla fase di stagnazione e di declino. La fragilità del sistema politico del resto ha tutto da guadagnare dalla capacità di fare coesione da parte dei corpi intermedi su obiettivi precisi, compito non facile ma che può essere svolto se la politica sa andare nella stessa direzione. Ed il tema della rappresentanza richiama un altro argomento non aggirabile, quello della partecipazione come pilastro di una nuova democrazia economica.
“In democrazia nessun fatto di vita si sottrae alla politica” sosteneva Gandhi. Sta alla politica rendersi conto di questa verità e non dimenticarla perché da essa dipende in gran parte la scommessa sul consenso e le decisioni che possono farsi uscire da uno dei periodi più incerti e meno esaltanti della nostra storia.
Paolo Pirani
Segretario Generale Uiltec