9 maggio 1978: «Era la notte buia dello Stato Italiano, La notte di via Caetani, del corpo di Aldo Moro, l’alba dei funerali di uno Stato». Era anche la notte buia in cui Peppino Impastato si è suicidato sui binari della ferrovia Cinisi-Palermo facendosi saltare in aria con il tritolo perché “stanco della vita e della politica”. Era quello che volevano far credere: liquidare con un suicidio la morte del comunista siciliano che faceva arrabbiare i mafiosi, che gridava “la mafia è una montagna di merda” e dileggiava “Tano Seduto” sotto il suo temibile balcone. Troppo comodo per un personaggio troppo scomodo.
È con il film I cento passi di Marco Tullio Giordana che ricordiamo questa pagina buia della Storia italiana. L’annuncio di Radio Aut della morte di Peppino:
«Stamattina Peppino avrebbe dovuto tenere il comizio conclusivo della sua campagna elettorale. Non ci sarà nessun comizio e non ci saranno più altre trasmissioni. Peppino non c’è più, è morto, si è suicidato. No, non sorprendetevi perché le cose sono andate veramente così. Lo dicono i carabinieri, il magistrato lo dice. Dice che hanno trovato un biglietto: “Voglio abbandonare la politica e la vita”. Ecco questa sarebbe la prova del suicidio, la dimostrazione. E lui per abbandonare la politica e la vita che cosa fa: se ne va alla ferrovia, comincia a sbattersi la testa contro un sasso, comincia a sporcare di sangue tutto intorno, poi si fascia il corpo con il tritolo e salta in aria sui binari. Suicidio. Come l’anarchico Pinelli che vola dalle finestre della questura di Milano oppure come l’editore Feltrinelli che salta in aria sui tralicci dell’Enel. Tutti suicidi. Questo leggerete domani sui giornali, questo vedrete alla televisione. Anzi non leggerete proprio niente, perché domani stampa e televisione si occuperanno di un caso molto importante. Il ritrovamento a Roma dell’onorevole Aldo Moro, ammazzato come un cane dalle brigate rosse. E questa è una notizia che naturalmente fa impallidire tutto il resto. Per cui chi se ne frega del piccolo siciliano di provincia, ma chi se ne fotte di questo Peppino Impastato. Adesso fate una cosa: spegnetela questa radio, voltatevi pure dall’altra parte, tanto si sa come vanno a finire queste cose, si sa che niente può cambiare. Voi avete dalla vostra la forza del buonsenso, quella che non aveva Peppino. Domani ci saranno i funerali. Voi non andateci, lasciamolo solo. E diciamolo una volta per tutte che noi siciliani la mafia la vogliamo. Ma non perché ci fa paura, perché ci dà sicurezza, perché ci identifica, perché ci piace. Noi siamo la mafia. E tu Peppino non sei stato altro che un povero illuso, tu sei stato un ingenuo, sei stato un nuddu miscato cu niente».
A Peppino, “Rivoluzionario e militante comunista – Assassinato dalla mafia democristiana”.
Elettra Raffaela Melucci