Non so per quale motivo la destra, anche quando dice cose sensate, riesce a dirle in modo che appaiano del tutto insensate. Forse è superficialità, non adeguato studio dei dossier, carenze lessicali. Ma comunque il risultato è lo stesso: partendo dall’enunciazione di un problema reale e condivisibile, sempre finiscono per buttarla in caciara e polemica. Prendiamo il caso delle recenti dichiarazioni di Giorgia Meloni e del cognato ministro Francesco Lollobrigida sui temi chiave di: demografia, denatalità, occupazione, immigrazione. Entrambi sono partiti da una serie di concetti che sono da tempo al centro delle discussioni di studiosi di ogni latitudine: la sempre più ridotta quantità di nascite nel nostro paese, la difficoltà per le aziende di trovare mano d’opera, le possibili opzioni per di colmare questi “buchi”, e infine il divario, sempre più ampio, tra la popolazione dell’occidente, che si restringe, rispetto a quella del sud del mondo, che si incrementa.
Meloni ha detto che in Italia sono troppo poche le donne che lavorano, esattamente come troppo poche fanno figli, ma di voler rimediare a queste lacune, puntando a ottenere, attraverso misure di sostegno adeguate, sia una maggiore presenza femminile al lavoro, sia un aumento del tasso fecondità nel nostro paese, oggi tra i più bassi d’Europa. Cosa c’è di strano o sbagliato? Nulla: la stessa cosa la dicono da anni sociologi, economisti, ricercatori; ci sono sul tema studi della Banca d’Italia e di moltissimi altri centri di ricerca; ci sono montagne di dati che dimostrano come un maggiore tasso di occupazione femminile porti con sé non solo un consistente aumento del Pil ma anche un aumento delle donne che decidono di avere figli; e ci sono altrettanti numerosissimi esempi relativi all’aumento dell’uno e dell’altro indicatore in paesi che applicano politiche famigliari adeguate, Francia e Germania su tutti. Dunque, fin qui Meloni non ha detto nulla di sbagliato: alzare il tasso di occupazione femminile è giusto, aumentare quello di fertilità anche. Salvo che poi la premier ha subito sbandato, debordato: affermando che le donne al lavoro servono soprattutto a evitare che si debba ricorrere agli odiati “stranieri”.
E qui si è data idealmente la mano col cognato ministro, che giusto nelle stesse ore ha affermato – anche lui – che occorre incentivare le nascite per evitare quella “sostituzione etnica” che deriverebbe da un aumento degli immigrati in Italia. A parte che forse Lollobrigida non sapeva che anche gli immigrati, non appena arrivano nel nostro paese, smettono di fare figli (sarà il clima?), il ragionamento del ministro si è immediatamente schiantato su una frase idiota, estratta da una sorta di manuale complottista nazista. E tuttavia, paradossalmente, partiva da un dato statistico non errato: “sostituzione etnica” a parte, è infatti vero che c’è una parte di mondo dove le nascite e la popolazione crescono costantemente, mentre in un’altra parte calano a picco. E che su questo dato, paesi con popolazioni in aumento contro paesi con popolazioni in calo, si giocheranno tutte le partite – economiche, sociali, politiche – dei prossimi decenni.
Per fare un esempio: il dato che tutti ormai conosciamo è che la sola Nigeria, tra pochi anni, avrà altrettanti abitanti quanti l’intera Europa; quello meno noto, però, è che anche in Cina la popolazione sta calando costantemente, tanto che proprio in questi giorni l’India l’ha superata, per la prima volta nella storia diventando il paese più numeroso del mondo: un miliardo 4286, contro il miliardo 4257 della Cina. Si, sono solo tre milioni di abitanti in più, ma è un trend che non sembra destinato a cambiare, anzi. Sta di fatto che nel 2050 la Cina avrà perso, a causa del crollo demografico, il 23% della propria forza lavoro. Il che renderà molto difficile al Dragone raggiungere gli obiettivi di politica economica che si è dato, sia a causa della mancanza di mano d’opera, sia per il peso sul Pil di una popolazione che invecchia: la Cina ha oltre 200 milioni di over 65, il 15 per cento della popolazione, l’India invece ne ha meno della metà. Inoltre, seppure oggi l’India ha un tasso di occupazione piuttosto basso, ha però anche un enorme serbatoio di forza lavoro femminile ancora sotto utilizzato, a cui potrà ricorrere in futuro, potenziando ancora di più la sua crescita economica. Già oggi, del resto, la crescita della Cina è ferma al 4 per cento, mentre l’India è oltre il 6 per cento. E queste sono solo alcune delle conseguenze dirette di una demografia positiva o negativa.
Perché’ ho tirato in ballo Cina e India in questo ragionamento che parte dalla ‘sostituzione etnica’ così temuta dalla destra? Proprio perché si tratta di Cina e India: due paesi industrializzati e ricchi, due potenze mondiali, due giganti i cui numeri sono talmente enormi – tre miliardi di persone, in totale – da rendere semplicemente ridicolo anche solo parlare di “sostituzione etnica”: eppure anche su di loro la demografia pesa, in un senso o nell’altro. E dunque non sarebbe affatto ridicolo riflettere seriamente sui colossali mutamenti demografici che stanno avvenendo nel mondo, e che riguardano l’Italia, l’Europa, l’Occidente, ma anche l’Oriente, l’Africa, l’America Latina, eccetera; fenomeni che nei prossimi decenni porteranno tante e tali trasformazioni oggi quasi impossibili da immaginare, ma che già oggi rendono ancora più pateticamente ridicolo il micragnoso, ottuso, provincialissimo concetto di “sostituzione etnica”.
Altrettanto impossibile, infatti, è immaginare di frenare le ondate migratorie che si sposteranno vorticosamente da una parte all’altra del mondo; e non stiamo parlando dei quattro disgraziati sui barconi del mediterraneo che terrorizzano la destra italica, ma di ondate davvero epocali. Dovute a mille fattori diversi, dalle crisi economiche o climatiche alle guerre; ma anche, semplicemente, alla necessità insita nell’essere umano di spostarsi, alla curiosità di conoscere altri mondi e culture, al desiderio di esplorare nuove opportunità per tutti: per chi arriva, per chi accoglie. D’altra parte, la storia dimostra che le società più evolute, ed economicamente floride, sono quelle più aperte, mentre sono destinate a estinguersi, prima o poi, le società chiuse. Sarebbe dunque molto interessante se in Italia si riuscisse a parlare di questi argomenti, che ritengo tra i più appassionanti dei nostri tempi, senza farsi venire crisi isteriche, senza attacchi di panico alla sola idea di un mondo rimescolato, e dunque, si immagina, più vivace e vitale.
Quindi, per tornare al nostro “cortile di casa”: la destra al governo ha il merito di portare il tema dei cambiamenti demografici, fin qui troppo sottovalutato, al centro dell’attenzione; purtroppo lo fa nella maniera più sbagliata e grottesca, impedendo, alla fine, che si apra un qualunque dibattito serio e utile. Basterebbe un solo dato, per dimostrare quanto il governo sia lontano dall’avere contezza reale del problema, e cioè: è di un paio di settimane fa una ricerca Bankitalia secondo cui, per portare a compimento i progetti del Pnrr, occorrono da qui al 2026 almeno 370 mila nuovi lavoratori; peccato che, sempre nei prossimi tre anni, a causa della demografia avversa, ne perderemo 600 mila, per un saldo negativo di quasi un milione. Cara premier Meloni, caro ministro dell’Agricoltura: davvero pensate che basti fare figli, o mettere al lavoro più donne, per colmare in pochi mesi questa gigantesca voragine nella quale stiamo per cadere? O non sarà il caso di cercare (rapidamente) una soluzione meno ideologica e più razionale?
Nunzia Penelope