Il “tempo” di Renzi non è più il “tempo in anticipo su se stesso” della discontinuità dal passato e del futuro che diventa presente. Capitalismo competitivo, finanza e speculazione e una nuova antropologia imprenditoriale: Sergio Marchionne e Davide Serra. Modernità contro feudalesimo.
Il tempo di Renzi è in verità il “tempo alternante” dove il passato e il futuro competono nel presente e dove oggi sono i riti del passato a riaffermare la loro esistenza.
Accade così che il rigattiere della storia ha riesumato vecchie cianfrusaglie sepolte nella polvere dell’oblio. E d’incanto le parole d’ordine del secolo passato hanno sostituito gran parte del lessico renziano.
Una nuova e promettente stagione di relazioni sindacali, la ritrovata unità tra le tre confederazioni, l’uscita di Landini dall’hapartheid con al firma del ccnl dei meccanici e altro ancora, hanno radicalmente cambiato lo scenario rendendo desueta la parola magica del capitalismo rampante e dei promotors renziani: la “disintermediazione” ovvero sia la libertà delle parti (il datore di lavoro e il lavoratore) di contrattare senza intralci e mediazioni di terzi
Il tempo presente dunque riporta a galla gli istituti tipici del secolo scorso e con essi la voglia dei cittadini di partecipare alle scelte pubbliche e il loro rifiuto di una delega che li relega a soggetti passivi nella scelta dei propri rappresentanti
L’alta affluenza al referendum è la dimostrazione di questa urgenza della gente comune di dire la propria anche su una materia astrusa e per certi versi incomprensibile come quella della pasticciata modifica costituzionale. Una partecipazione che ci riporta agli anni ’70 e acquista un significato politico preciso perché il referendum è stato saturato di altro. Si voleva un plebiscito pro o contro Renzi e il popolo sovrano ha detto chiaro e forte il suo no a una proposta inaccettabile di demagogica semplificazione del rapporto tra élite politica e cittadini.
Con Renzi ha perso il Pd che riconferma la sua collocazione di classe, e con essa la sua estraneità al resto del mondo che soffre e che non vede riscatto: dal sud alle periferie delle grandi città.
Renzi ha costruito la sua carriera sulla rottamazione delle vecchi élites e queste si sono riprese la rivincita solo in parte per loro merito
A demeritare è stato invece Renzi che ha bruciato in meno di tre anni il capitale accumulato e la sconfitta è ancora più bruciante perché a dirgli di no sono stati principalmente i giovani cresciuti come lui a playstation, cartoni e vitamine.
Paradosso della storia: sono stati i coetanei di Bersani e D’Alema a rendere meno amara la sconfitta; gente cresciuta nelle feste dell’Unità cucinando salsicce e vendendo l’Unità la domenica e che ora hanno sostenuto chi di quel modo di intendere la politica, e in fondo la vita, è il detrattore.
Quel mondo è finito e la sua riesumazione non avverrà certo per merito della minoranza Pd: una mera espressione geografica senza leader e programmi. Quel mondo è sepolto nella storia, ma il bisogno di partecipare e far valere i propri diritti è stato riaffermato con forza.
Il seme comunque è stato piantato e il frutto non tarderà a germogliare. Resta ancora incerto chi riuscirà a capitalizzare questo patrimonio nascente.
Resterà riserva di caccia di Grillo e del Movimento 5 stelle o qualcun altro si farà avanti?
Il tempo del presente potrebbe rivelarsi un “tempo esplosivo” in cui presente e futuro si dissolvono in un futuro trascendente dagli esiti incerti.
Una inaspettata possibilità per ridefinire le regole del gioco e in particolare quello della rappresentanza e del rapporto ormai usurato tra élites e cittadini.
Una occasione imperdibile per chi crede in quel tanto di buono che le meta-narrazioni del novecento hanno lasciato a futura memoria.
Roberto Polillo