Come se dovesse reagire ad una tragica beffa (poche ore prima della nuova strage di lavoratori si era svolto un incontro positivo tra il governo e le parti sociali sui temi della sicurezza sul lavoro) in occasione della conferenza stampa sul Def, Mario Draghi ha voluto ricordare, uno per uno, i nomi dei lavoratori vittime degli ultimi infortuni mortali. Quest’approccio ad un problema grave mi ha portato lontano nel tempo. Nel luglio 1960, dopo i fatti di Reggio Emilia, Pietro Nenni chiese di parlare alla Camera ed iniziò il suo intervento leggendo i nomi dei caduti, affidandoli così – disse – agli atti parlamentari, con l’auspicio che eventi del genere non dovessero più accadere. Anche Draghi ha usato un tono ultimativo annunciando misure sollecite e straordinarie. “C’è un’esigenza di prendere provvedimenti immediatamente, entro la settimana prossima e poi ci sarà un piano più organico e strutturale. Intanto – ha aggiunto il premier – bisogna però intervenire subito e alcune delle strade sono pene più severe e più immediate; collaborazione all’interno della fabbrica per l’individuazione precoce delle debolezze. È ovvio che i lavoratori che potranno partecipare a questa operazione non saranno responsabili di nulla. Ringrazio i sindacati per il loro sforzo”. Come se presagisse un impegno siffatto, il nuovo direttore del INL (Ispettorato nazionale del Lavoro, istituito nel 2015 in applicazione del jobs act), Bruno Giordano, un magistrato di Cassazione molto competente in questa materia, aveva affermato in una intervista all’atto della sua nomina nel luglio scorso: “Dopo 30 anni di attività giudiziaria in materia di sicurezza sul lavoro mi sono convinto che punendo di più non si ottengano maggiori risultati. Occorre prevenire gli incidenti e per farlo servono controlli quantitativamente e qualitativamente incisivi e un rafforzamento del potere sospensivo dell’attività di impresa che già abbiamo”. Certamente, può essere utile rivedere le norme, implementare le sanzioni e renderne più sollecita l’erogazione (poi sappiamo che in Italia si finisce sempre per istituire una procura nazionale speciale), rafforzare gli organici (a regime sono previsti 4,8mila ispettori: ora sono meno della metà). Ma è illusorio pensare che la soluzione possa venire dall’esterno del posto di lavoro. In condizioni normali un lavoratore, in Italia, dedica alla sua attività più di 1,7mila ore l’anno che per il complesso del mondo del lavoro ammontano a miliardi di ore, in ognuna delle quali per verificarsi un infortunio, anche con conseguenze gravi. E’ vero che la Confindustria ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo sostenendo, nel documento presentato al governo per l’incontro di lunedì scorso, che: “nessun infortunio è frutto di casualità (ma esito di una o più situazioni di rischio preventivabili e quindi prevenibili) e che – salvo rarissime eccezioni – nessun infortunio è inevitabile (il che interpella il tema della chiarezza e semplicità delle regole comportamentali e tecniche)”. Ma perché questa linea di condotta prevalga nella realtà occorre che ogni lavoratore si senta “ispettore di se stesso” e dei propri colleghi e che la prevenzione divenga – anche attraverso la formazione – una priorità effettiva nella battaglia per la sicurezza. Draghi ha colto nel segno quando ha richiamato la necessità della “collaborazione all’interno della fabbrica per l’individuazione precoce delle debolezze”. Qui però è il punto dove casca l’asino, perché gli strumenti per questa “collaborazione” sono previsti da decenni, anche se non si ha un’idea chiara del loro funzionamento, tanto che Draghi ne ha accennato come se dovessero essere costituiti ex novo. Già il dlgs n.626 del 1994 prevedeva (all’articolo 18) la figura del rappresentante per la sicurezza eletto dai lavoratori, il quale doveva essere consultato preventivamente in tutti i processi di valutazione dei rischi in collaborazione dialettica con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione che agiva per conto del datore di lavoro, pur nell’ambito della responsabilità di quest’ultimo che non veniva (e non viene) mai meno. La valutazione del rischio, quindi, costituiva già un processo di individuazione dei pericoli e, successivamente, di tutte le misure di prevenzione e protezione volte a ridurre al minimo sostenibile le probabilità (quindi il rischio) e il danno conseguente a potenziali infortuni e malattie professionali. Questa disciplina è stata ulteriormente rafforzata in sede di Testo Unico per la sicurezza nei luoghi di lavoro ( dlgs n.81 del 2008 e successive modifiche). Vi è un’intera sezione del TU (la VII) dove sono previste forme di consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori eleggibili in tutte le aziende anche se piccole o nel territorio. I poteri di questi delegati sono effettivi: possono disporre, senza perdere la retribuzione, del tempo necessario per svolgere i loro compiti e soprattutto il rappresentante “può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro o dai dirigenti e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro”. Peraltro, come ha detto Draghi, questi lavoratori non hanno nulla da temere. Già il TU stabilisce che: “Chi è chiamato dagli altri lavoratori a svolgere tale funzione “non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali” In tale contesto normativo – e considerato l’impegno espresso dai sindacati in materia – dobbiamo supporre che vi sia un’ampia rete di questi rappresentanti su cui fare leva perché costituiscono la prima linea in questa battaglia senza fine. E la vittoria dipende molto da loro. E’ possibile, allora, avere un quadro della situazione, monitorare i problemi di questo presidio primario? Da ultimo è il caso di richiamare, di nuovo, l’attenzione sull’intervista di Bruno Giordano, a proposito dell’INL, l’istituto che avrebbe il compito di coordinare ed unificare gli interventi ispettivi di Lavoro, Inps e Inail. “Alcune delle norme più importanti del decreto istitutivo, come il coordinamento dei servizi ispettivi di Inps e Inail, devono ancora essere attuate. Sarebbe un passo fondamentale – ha sottolineato Giordano – per poter fare in una volta sola controlli incrociati sulla regolarità complessiva dell’azienda e sulla posizione contributiva, assicurativa e di sicurezza dei lavoratori. Oggi ogni ispettore guarda alla materia di sua competenza e il coordinamento è affidato alla buona volontà. Dietro però ci sono anche questioni tecniche e informatiche: noi abbiamo un accesso molto parziale alle banche dati di Inps e Inail con le informazioni sulle aziende controllate. Ci stiamo lavorando in queste settimane”. Dell’INL si parla dal 2015. Non si doveva costruire una piramide; bastava mettere insieme degli apparati appartenenti ad amministrazioni diverse.
Giuliano Cazzola