“Creare lavoro remunerato e tutelato”. Come mai il Presidente Mattarella (il leader più stimato dagli italiani, il cui consenso è in crescita) dice con chiarezza che la sfida più importante è creare nuovo lavoro e i partiti e i sindacati non lo dicono con la stessa forza?
I partiti, mi si consenta un giudizio medio, pensano – sia a destra che a sinistra – che se l’economia riprende, prima o poi, riprenderà anche il lavoro e magari un lavoro buono. Non rendendosi conto che la finanziarizzazione ha rotto la correlazione positiva tra crescita e lavoro. Basti pensare agli esuberi nel settore bancario: le banche licenziano per distribuire più utili agli azionisti (e, magari, aumenti ai dipendenti rimasti). I partiti fingono di non sapere che la stagnazione di cui stiamo soffrendo non è “congiunturale”, come si diceva negli anni 70, ma di lungo periodo, se non si modificano in maniera radicale gli indirizzi di crescita. Quei politici che lo sospettano, imboccano delle scorciatoie assistenziali che tendono a separare il reddito primario da lavoro (e a non funzionare). Mettere il lavoro al centro della strategia di uno sviluppo più sostenibile è invece quello che è necessario fare per innovare l’economia (almeno europea e nazionale) verso una nuova e solida crescita: magari più bassa di quelle passate ma più duratura.
La piattaforma Onu/ASviS per lo sviluppo sostenibile ci indica un percorso per riconvertire l’economia globale. Descrive minuziosamente i cantieri, so di semplificare, che vanno aperti e sostenuti con le competenze del lavoro e con le risorse private e pubbliche prodotte. L’Agenda Onu 2030 chiarisce che quella della sostenibilità (sociale, economica e non solo ambientale) è l’unica possibile via di crescita, non una tra le tante. Quando la leader della UE von der Leyen parla di questi temi, dovrebbe spingersi a dire che l’obiettivo della massima occupazione deve tornare centrale in Europa. Che l’Europa non può competere con le economie asiatiche solo sulle punte di innovazione se non ha un retroterra solido di coesione e uguaglianza sociale fondato su un welfare diffuso e la valorizzazione ambientale del territorio. Altrimenti, di cosa stiamo parlando? Quando Conte cita il “Green New Deal” non dovrebbe dimenticare che il New Deal è stato soprattutto creazione di migliaia di lavori diversi, non decreti legge o sussidi alle imprese. Del resto, la crescita ha bisogno di indirizzi economici e anche culturali molto più che di indirizzi legislativi.
(Apro qui una parentesi scherzosa. So che il Senatore Luigi Marattin non sarebbe per niente d’accordo su queste mie prime righe. Non lo era 10 anni fa da assessore al bilancio della mia città, quando gli illustravo il Piano del Lavoro della Cgil, figuriamoci oggi che svolge un importante ruolo di “controllore-censore” per conto di “Italia Viva” verso il Governo Conte2. Ma la coerenza non è un difetto: Luigi – che è professore di economia – ha studiato all’università quando era dominante la scuola neoliberista di Chicago (io, più vecchio, nel keynesismo pragmatico di Andreatta, Prodi e Leon). Secondo i suoi fondatori lo Stato può intervenire in economia a salvare o attenuare effetti critici delle dinamiche private, ma non a sollecitare una crescita con esse competitiva. Un pronto soccorso fuori campo, non un allenatore e arbitro insieme, come pensava Keynes. Il problema quindi non sono i pensatori liberisti che ancora si illudono che basta il “laissez faire” per garantire la crescita diffusa. Il problema sono quei politici che, non essendo liberisti, pensano che possano bastare i sussidi generalizzati alle imprese per garantire la crescita di un Paese. Andando contro, oltre al buon senso, anche all’idea che se la tua politica economica mantiene in vita imprese non competitive non stai facendo un gran servizio al Paese. Schumpeter sarebbe molto arrabbiato nel vedere come si sprecano i soldi pubblici: sussidi o investimenti? investimenti a perdere, investimenti che premiano la rendita o investimenti che ne attraggono altri per rafforzare la crescita? Questo il vero problema, non la scarsità assoluta di risorse. E poi, se la disuguaglianza blocca la crescita, lo Stato, al di là di un problema di giustizia sociale, deve ridurre le disuguaglianze perché da solo, il mercato, non lo fa. E questa, Gigi, non è un idea di alcune scuole economiche radicali se anche papa Francesco ci avverte che “la redistribuzione automatica del reddito negli ultimi 300 anni non si è mai verificata”. E siccome è stata inventata 300 anni fa da Adam Smith… Il lavoro è il massimo riduttore diretto di disuguaglianze che abbiamo a disposizione.)
Ma torniamo a noi e all’obiettivo centrale per Mattarella di creare più lavoro. Come mai i sindacati non lo dicono in maniera altrettanto esplicita?
Le ragioni sono tante. E in larga parte comprensibili. Prima di tutto c’è l’emergenza: la continua chiusura delle attività e la perdita di lavoro esistente. E il sindacato deve, per il proprio Dna, rincorrere l’emergenza e difendere quel lavoro (comprensibilmente) con la massima determinazione. Poi c’è il lavoro irregolare che si è creato, senza diritti certi, in questi ultimi decenni di liberismo trionfante. Anche qui, con tutte le difficoltà del caso, è giusto e comprensibile che il sindacato si batta per una maggiore estensione dei diritti del lavoro. Poi c’è l’insostenibilità del sistema pensionistico che dà poco a chi è in pensione oggi e niente a chi ci andrà fra venti anni. Questa è una battaglia campale in cui il sindacato è impegnato (comprensibilmente) anche attraverso manifestazioni di piazza. Poi i contratti che cercano di essere il più possibile inclusivi nella tutela dei lavori e dei redditi che ci sono. Infine la battaglia per la riforma fiscale, vero fattore di disuguaglianza oggi e di non reperimento di risorse aggiuntive. Ripeto, tutto ciò è comprensibile e condivisibile.
Quello che si fa più fatica a capire è perché i sindacati si limitino a tutelare meglio il lavoro che c’è e non aprano un’offensiva per crearne di nuovo.
A me piacerebbe molto che lo facessero. Mi piacerebbe che si sedessero attorno a un tavolo Cgil Cisl Uil ed elaborassero una strategia che vada nella direzione delle cose dette dal Presidente Mattarella: di creare nuovo lavoro (specie per i giovani) remunerato e tutelato, che sia insieme effetto e motore di una crescita sostenibile. Poi, magari, allargare il tavolo a Governo e imprese (come ha suggerito il segretario generale della Cgil), se ci stanno. Spiegando loro che con i sussidi e i benefici fiscali non si esce dalla stagnazione e che la politica economica per la crescita e il lavoro è una programmazione di medio periodo, non un annuncio oggi per domani. Lo vogliamo chiamare “Patto per il lavoro e lo sviluppo sostenibile”? Lo vogliamo chiamare “Patto per l’Italia”? La cosa importante è che si faccia e in fretta ciò che Mattarella ci ha chiesto.
Del resto, il lavoro prima si crea e poi si tutela: difficile immaginare che agendo dal solo lato dei diritti e delle tutele per legge si creino nuovi posti di lavoro.
Gaetano Sateriale