La manifestazione del 25 ottobre indetta dalla CGIL a Roma sarà per la confederazione un momento di importante verifica sulla sua attuale capacità di mobilitazione e per Susanna Camuso una sfida altrettanto impegnativa.
Esiste infatti il precedente del 2002 quando Sergio Cofferati portò al Circo Massimo per gli stessi motivi 3 milioni di lavoratori e quindi inevitabile sarà il confronto tra i due eventi.
Certo la situazione attuale è radicalmente diversa dal 2002 : allora al Governo c’era Berlusconi il leader populista della destra, oggi c’è Renzi il leader altrettanto populista del Partito Democratico a cui però sono iscritti la stragrande maggioranza dei leaders sindacali.
Allora la situazione economica del paese era accettabile, oggi la crisi la bruciato un quarto della capacità produttiva paese e milioni di posti di lavoro. Allora la costituzione dell’Europa appariva come una promessa di prosperità futura oggi l’Euro sembra una prigione dove sono rinchiusi i “pigs”: i paesi del sud Europa che si ostinano a non fare le riforme che il “mercato” chiede loro. Allora la figura di Sergio Cofferati era di tipo carismatico, oggi Susanna Camusso stenta a trovare una sua collocazione nell’universo simbolico ed emozionale da cui dipende la reale capacità di mobilitazione delle masse
Eppure esistono altre elementi da tenere in conto. Negli ultimi anni il collateralismo del sindacato con il Partito democratico si è ulteriormente accentuato toccando un punto di non ritorno nella supina accettazione della riforma delle pensioni targata Foriero e nella sottovalutazione , ammessa dalla stessa Camusso , della pervasività dei contratti precari.
Oggi si tratta di smarcare una “differenza” dal passato e dal proprio partito di riferimento ma quest’ultima appare una impresa ardua e soprattutto di scarso risultato perché il partito democratico è anch’esso cambiato e sembra non avere più bisogno del sindacato. Anzi la CGIL sembra un peso, tanto che Renzi per farsi accettare dagli altri leaders europei ha scelto di portare come scalpo proprio quello dell’art. 18, che la CGIL ha sempre difeso. Una operazione lacerante , di rottura con la vecchia cinghia di trasmissione sindacale, il cui valore, peraltro, è puramente simbolico; una sorta di “captatio benevolentiae” verso gli azionisti di maggioranza dell’euro che nulla porterà in termini di nuovi posti di lavoro come anche Draghi ha lasciato intendere.
La sfida è dunque multipla: da una parte convincere i molti iscritti al PD che è giusto scendere in piazza contro il proprio stesso partito ; dall’altro mobilitare i precari , che la CGIL rappresenta in parte, che dovrebbero scendere in piazza nonostante il Jobs act spergiuri che eliminerà di colpo la precarietà. Ed infine mobilitare gli sfiduciati che lavoro non hanno e nei confronti dei quali la CGIL non ha una proposta credibile.
Si apre dunque una fase nuova che potrà dare frutti solo se la CGIL riprenderà una reale autonomia dalla politica, anche dalla minoranza del PD, e se sarà in grado di proporre una ricetta credibile, coerente e comprensibile sul come uscire dalla crisi. Una ricetta finora mancata, che ha sbiadito l’immagine del sindacato e che è assolutamente indispensabile per allargare la propria area di consenso e riconquistare la centralità persa.
Roberto Polillo