“Rispetto a 100 euro di retribuzione lorda aggiuntiva data a un lavoratore, il costo del lavoro per l’impresa cresce di 140 euro, ma nella busta paga del dipendente arrivano solo 56 euro.” A snocciolare queste cifre è Angelo Megaro, il vice-direttore generale di Federmeccanica che è anche responsabile del Centro studi dell’associazione delle imprese metalmeccaniche.
In un albergo romano nei pressi di Montecitorio, a due passi dalla Camera dei Deputati, è in corso la conferenza stampa con cui la stessa Federmeccanica sta presentando l’edizione n. 138 della sua indagine trimestrale su La congiuntura nell’industria metalmeccanica. Un’indagine foriera, in senso lato, di notizie abbastanza buone.
Lo stesso Megaro, infatti, ha sottolineato che il periodo che va dal 1° gennaio al 31 marzo di quest’anno costituisce il quinto trimestre di crescita modesta sì, ma continuativa del nostro Prodotto interno lordo. Il che è certo molto meglio dei 14 trimestri consecutivi di discesa dello stesso Pil che erano iniziati nella seconda metà del 2011 e sono andati avanti fino alla fine del2014. Inquest’ambito, nel primo trimestre del 2016 la produzione del settore metalmeccanico è cresciuta del 2,4% rispetto al trimestre precedente (l’ultimo del 2015), nonché di un più rotondo 3,9% rispetto all’analogo periodo dell’anno scorso (cioè rispetto al primo trimestre 2015).
Queste buone notizie vengono peraltro un po’ ridimensionate, rispetto al loro carattere positivo, da previsioni prudenti relative al trimestre in corso, quello che va dal 1° aprile al 30 giugno; un periodo in cui Federmeccanica si aspetta che la crescita possa nuovamente rallentare.
Ma, nonostante la ricchezza dei dati offerti, come di consueto, anche da questa nuova edizione dell’indagine congiunturale sul settore più importante della nostra industria, l’attenzione dei giornalisti presenti in sala non è concentrata sui saldi del rapporto fra esportazioni e importazioni, o sui risultati differenziati verificatisi nei diversi comparti del settore, ma su una questione che, in questi giorni, si presenta più calda: quella della vertenza in corso per il nuovo contratto nazionale dei metalmeccanici. Basti pensare che dopo l’incontro del 24 maggio, l’ultimo svoltosi tra imprese e sindacati, non ci sono in calendario nuovi appuntamenti fra le parti, mentre Fim, Fiom e Uilm hanno programmato scioperi generali di 8 ore che si terranno, su base regionale, nelle giornate del 9, 10 e 15 giugno.
Finita l’esposizione dei dati, partono dunque le domande sul contratto. E dalle risposte si è ricavata l’impressione che Federmeccanica si mantenga con fermezza sulle posizioni enunciate nell’incontro del 22 dicembre scorso, quando presentò la sua contropiattaforma.
In particolare, Alberto Dal Poz, vicepresidente di Federmeccanica, ha ricordato che, nei mesi scorsi, sia Vincenzo Boccia, risultato poi eletto, che gli altri candidati a sostituire Giorgio Squinzi alla guida di Confindustria, avevano espresso il loro consenso al documento di Federmeccanica. Mentre Stefano Franchi, direttore generale dell’associazione, ha affermato che gli obiettivi delle imprese sono chiari e sono sempre gli stessi: e cioè raggiungere non un generico rinnovo del contratto ma, con un’espressione molto cara a Franchi, il suo rinnovamento. Una parola questa che, secondo i sindacati, indica un totale stravolgimento del rapporto che esiste tradizionalmente fra contratto nazionale e contrattazione decentrata, specie per ciò che riguarda il tema cardine della contrattazione, e cioè il salario.
E’ appena il caso di ricordare, infatti, che l’attuale sistema contrattuale prevede per i vari contratti nazionali l’esistenza dei cosiddetti minimi salariali, ossia di minimi fissati da ogni contratto nazionale per i vari livelli dell’inquadramento professionale da esso previsti. A questi minimi si possono poi aggiungere gli aumenti derivanti dalla contrattazione di secondo livello, e cioè dalla contrattazione aziendale, di gruppo o territoriale. La proposta di Federmeccanica, invece, punta alla fissazione di un cosiddetto salario minimo di garanzia. L’espressione è verbalmente simile alla prima, ma la cosa è diversa. Perché in questo nuovo schema si immagina che gli aumenti del potere d’acquisto delle retribuzioni siano demandati alla contrattazione di secondo livello, mentre al contratto nazionale resterebbe la funzione di definire un minimo di garanzia al di sotto del quale la retribuzione di fatto di ogni singolo lavoratore non può scendere. Il che, secondo i sindacati, implicherebbe che dal contratto nazionale arriverebbero aumenti retributivi solo nelle buste paga del 5% dei metalmeccanici. E ciò perché altri istituti contrattuali, quali gli scatti di anzianità, porterebbero da soli le retribuzioni di fatto della stragrande maggioranza dei lavoratori al di sopra del nuovo minimo di garanzia.
Parallelamente a questo cambiamento del rapporto fra contratto nazionale e definizione dei salari, Federmeccanica punta su welfare contrattuale e formazione professionale. Rispetto al primo, realizzando un irrobustimento degli elementi di welfare (previdenza complementare e sanità integrativa) già presenti nella categoria; rispetto alla seconda, riconoscendo la formazione professionale permanente come diritto soggettivo di ogni singolo lavoratore.
Franchi ha quindi sostenuto che quello proposto da Federmeccanica è un cambio di paradigma e che, come ogni mutamento di tal genere, ha un carattere non solo contrattuale, ma culturale, e richiede quindi del tempo prima di essere capito e accettato. Ma, a quanto pare, Federmeccanica non ha fretta. “Ci vorrà il tempo che ci vorrà”, ha detto ancora Franchi. Il quale ha ribadito che, secondo Federmeccanica, occorre prima creare nuova ricchezza e poi distribuirla (in parte, si immagina) ai dipendenti delle imprese del settore. In altri termini, gli aumenti del potere d’acquisto delle retribuzioni possono essere erogati dalle imprese metalmeccaniche solo dopo che si siano verificati aumenti di produttività. E’ per questo che, in una fase di inflazione bassa o bassissima, il contratto nazionale non può essere la sede che determina crescite generalizzate del salario nominale.
Ed è qui che, nel gioco del botta e risposta, si è inserito Angelo Megaro che, in precedenza, aveva illustrato i dati dell’indagine. E che, con le parola sopra riportate, ha spiegato, con un esempio semplice, che cosa sia il famoso cuneo fiscale e come l’aliquota fiscale marginale al 38% vada a falcidiare gli eventuali aumenti salariali fissati dal contratto nazionale. Aumenti che, date le condizioni generali e, in particolare, data la dinamica del costo del lavoro per unità di prodotto, il famoso Clup, cresciuto in Italia dal2000 aoggi del 34,7%, rischiano di finire per essere, nelle parole di Franchi, solo “briciole ipertassate”.
I premi di risultato, pattuiti in sede aziendale, sono comunque onerosi per le imprese, ma qui il salario netto è più alto perché l’imposizione fiscale operata nei confronti dei lavoratori è pari solo al 10%. Ragionamento analogo vale per il welfare contrattuale, perché le cifre erogate dalle imprese per finanziare previdenza complementare, sanità integrativa e formazione professionale sono colpite dal fisco in modo più leggero degli aumenti salariali derivanti dal contratto nazionale. In sostanza, par di capire che Federmeccanica ritenga di aver messo a punto una proposta in base alla quale le imprese potrebbero offrire ai propri “collaboratori”, cioè ai propri dipendenti, dei vantaggi tangibili, utili anche a fidelizzarli, senza mettere a dura prova le proprie casse.
La situazione è dunque questa: Federmeccanica è convinta della bontà delle proprie ragioni, i sindacati hanno un’opinione opposta. E si apprestano a scioperare. Come uscirne? In uno degli ultimi incontri della trattativa, quello svoltosi il 6 maggio, Federmeccanica aveva avanzato l’ipotesi di diluire nel tempo l’attuazione della sua proposta di rinnovamento. In pratica, aveva proposto che il nuovo sistema andasse a regime non a partire dal 1° gennaio del 2017, ma entro la vigenza del rinnovando contratto. Cioè, entro la fine del 2018.
Che cosa può significare, in pratica, tutto ciò? Cosa comporterebbe, nei prossimi mesi, per le buste paga dei metalmeccanici? A una specifica domanda postagli dal Diario del lavoro, Franchi ha replicato che, per Federmeccanica, la soluzione va cercata, e trovata, assieme ai sindacati. Se ne riparlerà, forse, dopo i prossimi scioperi regionali.
@Fernando_Liuzzi