Fin troppo facile elencare le incertezze, i ritardi, gli errori compiuti dal Governo, dai vari esperti e commissari stra-ordinari, nella gestione dell’emergenza. Altrettanto semplice, purtroppo, è cogliere il carattere di rammendo sotteso alla legge di bilancio fatta di “bonus” e non di investimenti. E intuire i giochi che alcune forze politiche della maggioranza e dell’opposizione stanno attuando per intestarsi alcune destinazioni dei fondi europei (o dividere gli incarichi di un eventuale rimpasto di Governo). Ed è persino automatico prevedere le conseguenze di un ulteriore aggravarsi della crisi politica, economica e sociale già ora devastante per il Paese, se non si cambierà rotta. Alcuni commentatori sostengono che, come dopo tutte le grandi crisi del 900, sarebbe indispensabile e urgente ricomporre un’unità di intenti che faccia perno su un baricentro politico istituzionale largo, in grado di evitare il ricatto delle minoranze e la dialettica quotidiana, spesso pretestuosa, tra Stato e Regioni sull’ ”autonomia differenziata”. E che sarebbe necessario sostituire la gestione autoreferenziale delle decisioni da prendere a forme nuove di partecipazione e cogestione. Dario di Vico ha di recente sostenuto che se non ce la fa la politica da sola a costruire una nuova “unità nazionale” dovrebbero essere le forze sociali (imprese e sindacati) a far sentire la loro voce per evitare un regresso “storico” dell’Italia. Oggi, come in altri momenti in cui “la politica” non era all’altezza della gravità della situazione e delle decisioni da prendere. Questa ruolo “construens” delle forze sociali, per ora, non si è visto. Speriamo avvenga, anche se non restano molti giorni per impostare in maniera condivisa le linee di un Piano di investimento dei fondi europei che garantisca uno sviluppo sostenibile al Paese.
Viene il dubbio che tutti sappiano, in cuor loro, quali sono i problemi veri e le sfide da affrontare e che forse, più che una miopia diffusa, una difficoltà a capire la gravità della situazione in corso, si debba prendere atto di una incapacità generale ad affrontarla. Ed è difficile credere che il declino del sistema della rappresentanza (politica, sociale, istituzionale) cui stiamo assistendo da tempo possa essere improvvisamente compensato da un “deus ex machina” chiamato a fare il Presidente del Consiglio o il Capo dello Stato. Se il degrado della politica e della partecipazione democratica è iniziato abbandonando le comunità e i territori a loro stessi e sfilacciando le relazioni con i cittadini, la rinascita deve iniziare da lì: dalla ricostituzione di rappresentanze reali, e non digitali, nei quartieri, nelle città, nelle campagne, nei paesi. Anche perché è a quel livello che cala o cresce l’efficienza del sistema e la sua capacità di creare ricchezza, lavoro e benessere economico e sociale. Ed è proprio nei territori, specie in questi mesi difficili, che si scorgono le tracce di una nuova linfa sociale che produce fermenti culturali, aggregazioni, iniziative dirette di solidarietà nell’emergenza, di innovazione nella resilienza, di coerenza con i problemi climatici e ambientali. Senza attendere un aiuto pubblico che non arriva, senza chiedere il nulla osta dei partiti. Le “Sardine” sono l’ultimo esempio di questa vitalità territoriale, non l’unico.
È soprattutto al territorio, alle sue organizzazioni sociali (alle sue istituzioni ove non catatoniche) che rivolgiamo quindi qualche sintetica riflessione in forma di appello:
1. Non esiste un benessere sociale inclusivo che non abbia alle spalle un sistema in grado di produrre valore aggiunto economico; così come non esiste un reddito che possa sostituire il lavoro.
2. In emergenza è opportuno e giusto assistere gli strati sociali più fragili con tutti i mezzi, le risorse, le persone disponibili; ma è necessario darsi politiche di uscita dall’emergenza e di riduzione delle disuguaglianze se si vuole evitare il collasso.
3. Chi produce e moltiplica la ricchezza vera di un Paese non è il sistema bancario e finanziario ma sono le imprese e il lavoro; nell’emergenza è indispensabile proteggere le imprese e i posti di lavoro che ci sono, ma è soprattutto necessario crearne di nuovi: favorire la nascita di nuove imprese e nuovo lavoro (non di nuova assistenza).
4. Le nuove imprese vanno sollecitate e sostenute nei territori a partire da indirizzi di sostenibilità (ambientale, sociale, economica); le imprese e il lavoro vanno avviati subito a partire da progetti concreti, condivisi e cofinanziati.
5. Allo Stato (in tutte le sue articolazioni) tocca questa funzione “maieutica”, a questo devono servire gli investimenti pubblici: non solo a mantenere in vita quello che già c’è ma a far nascere quello che manca; i “bonus” sono spesa corrente, non investimenti.
6. La sanità, la scuola, l’assistenza sociale, la manutenzione, la prevenzione dei rischi, la mobilità sostenibile, l’infrastrutturazione digitale, l’energia pulita sono ambiti in cui investire per promuovere la nascita di attività che corrispondano meglio ai nuovi bisogni delle persone e del territorio; per creare imprese e lavoro bisogna rilanciare un nuovo Welfare, anzi 2: il Welfare delle persone e il Welfare del territorio.
7. E poi la partecipazione, a tutti i livelli: nelle imprese, facendo in modo che le competenze siano pienamente e responsabilmente impiegate (e non usate e “scartate”, come denuncia Papa Francesco); nelle comunità (di paese, di quartiere, di città, di area vasta) coinvolgendo i cittadini; nel percorso decisionale che nel Parlamento deve vedere la sintesi di momenti precedenti di confronto e partecipazione e non una discussione a priori (tantomeno a posteriori di decisioni già assunte in altri luoghi).
8. La partecipazione non è la rinuncia ai propri punti di vista o alla testimonianza dei propri bisogni e dei propri interessi, è il momento in cui essi si combinano con interessi più generali per determinare stadi più larghi di benessere.
9. Se la dialettica sociale e politica si accontentano dell’autostima non si farà molta strada, non si costruirà un Paese più sostenibile per le prossime generazioni.
10. Le città e i territori possono diventare il luogo in cui la domanda (i bisogni sociali) spingono la politica e le istituzioni di governo a dare risposte più concrete e coerenti.
Gaetano Sateriale e Maurizio Castro