Non sarà un settembre facile. La passata stagione ha lasciato un accumulo di problemi, di prospettive, di speranze tale da impegnare pesantemente il paese e, in particolare, le parti sociali. L’appuntamento più impegnativo da tutti i punti di vista sarà quello che attende Confindustria e sindacati. Emanuele Orsini e i leader confederali si sono salutati a fine luglio dopo un fugace incontro servito a conoscersi, ad annusarsi, appunto a darsi appuntamento per settembre. Adesso devono cominciare davvero a fare qualcosa assieme.
Le aspettative sono forti perché in questi quasi due anni di governo Meloni la Confindustria e i sindacati non hanno avuto praticamente alcuna interlocuzione con l’esecutivo. Al massimo sono stati convocati qualche ora prima dei consigli dei ministri che avrebbero preso decisioni importanti, ma senza alcuna possibilità di interloquire con quelle decisioni. Il sindacato, quasi tutto, ha sempre protestato, Confindustria all’ultimo incontro non c’è nemmeno andata. Ed è per questo che l’offerta che gli industriali hanno fatto ai sindacati è appetitosa. Perché questi hanno detto che era ora di smettere di avere con l’esecutivo incontri sempre separati e iniziare a marciare uniti. “Incontriamoci prima noi, prendiamo una decisione e poi portiamola al governo, che non potrà far finta di nulla come fa adesso”. Questo il discorso che ha fatto Maurizio Marchesini a Maurizio Landini, incontrandolo a metà giugno a Bologna. E la stessa cosa ha ripetuto Orsini ai vertici di Cgil e Uil quando li ha visti a fine luglio.
Adesso però si tratta di fare sul serio. Ma non su tutti i temi aperti le due parti sono d’accordo, soprattutto considerando che all’interno del sindacato convivono più strategie, non sempre collimanti. Si tratta quindi di riprendere un discorso difficile, andando a guardare i problemi lasciati aperti, o non conclusi, dal Patto della fabbrica del 2018, e cominciare a prendere qualche decisione operativa.
Landini, e con lui Bombardieri, sono certamente tentati da questa offerta, anche se il loro impegno più forte resta quello del confronto con il governo e, più in generale, con la maggioranza che lo sostiene. Anche qui Cgil e Uil sono chiamate a decisioni difficili. Perché raccogliere le firme per i referendum sul lavoro e quelle per l’autonomia differenziata, operazione ancora in corso, sono andate o stanno andando molto bene. I traguardi delle 500mila firme prima e del milione dopo sono state raggiunte o stanno per esserlo con facilità.
Ma il difficile arriva adesso, perché in tutti i referendum la cosa più insidiosa è quella di raggiungere il quorum del 50% più un voto per far sì che il referendum sia valido. Questa percentuale è stata scelta in altri tempi, quando andava a votare l’80, anche il 90% degli elettori e il 50% sembrava un facile traguardo. Ma adesso è già difficile che normalmente voti la metà degli elettori, boicottare un referendum sembra la cosa più facile da fare. E allora si dovrà cambiare strategia, si dovrà mettere in piedi un movimento di popolo, come qualcuno ha già detto, si dovrà convincere anche i riottosi ad andare a votare. Impresa non facile, che dovrà impegnare tutti, partiti, associazioni, sindacati come prima mai.
Le parti sociali hanno poi un altro fronte aperto, quello del rinnovo del contratto dei metalmeccanici, come sempre centrale nelle strategie delle due parti. Nel mese di giugno sindacati e imprese hanno cominciato ad affrontare i diversi problemi e subito è emerso il nodo dei salari. Secondo le regole esistenti le retribuzioni non potrebbero crescere mediamente più di 140 euro, mentre la piattaforma dei sindacati indica la richiesta di 280 euro. Distanze siderali, ha commentato uno dei sindacalisti impegnati. Ma resta un certo ottimismo nelle file delle tre federazioni metalmeccaniche, legato al fatto che le trattative si svolgono all’interno di un sistema consolidato di buone pratiche. Federmeccanica insiste nell’affermare che deve essere stabilito un aumento salariale tale che tutte le imprese possano sopportarlo, ma gli stessi imprenditori sanno bene che i salari italiani sono troppo bassi, molto più dei salari degli altri paesi. Due strade strette, che non possono però non incontrarsi.
Insomma, le parti sociali hanno davanti a loro un settembre impegnativo, ostico. Ma non sta certo meglio il governo. Anche a non voler dare corpo alle ipotesi di uno sfaldamento dell’unità del centrodestra, abbastanza irreale, il compito che attende l’esecutivo con la legge di bilancio è oltremodo impegnativo. Le risorse a disposizione sono molto limitate, forse inesistenti perché per la gran parte già impegnate in promesse che non possono essere fatte cadere, prima tra tutte il taglio alla contribuzione. Quelle poche risorse che potevano esistere devono fare i conti con il rientro del debito imposto dai nuovi equilibri europei. Margini di manovra o non ci sono, o sono assai limitati. Un altro capitolo che sarà necessario affrontare al più presto, possibilmente in questo affollato settembre.
Massimo Mascini