Luigi Cannari e Giovanni D’Alessio escono a distanza di quasi vent’anni con la seconda edizione del saggio La ricchezza degli italiani (Edizioni Il Mulino, 2023), un aggiornamento dell’analisi economica del nostro paese alla luce dei cambiamenti e momenti difficili occorsi in questi anni, dalla crisi finanziaria del 2007-2008, la recessione dei debiti sovrani, la pandemia da Covid-19, alla guerra in Ucraina. In sostanza, gli autori rileggono il primo ventennio del XXI secolo tra cambiamento climatico, declino demografico e innovazione digitale, entrando nelle pieghe delle rinnovate declinazioni di economia e ricchezza alla luce delle tre direttrici che orientano il corso della “nuova umanità”. Un’analisi cristallina e sistematica che si pone in diretta continuità con le precedenti ricerche degli autori – dirigenti della Banca d’Italia – in tema di distribuzione del reddito e della ricchezza (tra cui Le famiglie italiane, 2010) condotta con il piglio dell’economista di razza la cui religione è il dato statistico e l’analisi comparata.
La ricchezza è assunta da Cannari e D’Alessio come una caratteristica di primaria importanza sotto molti punti di vista, una determinante che non incide soltanto sulla sfera del consumo materiale, ma investe il complesso delle condizioni di vita delle popolazioni e il soddisfacimento da parte di esse dei principali diritti – come l’accesso al lavoro, la sanità, l’istruzione. Il volume affronta innanzitutto il tema della dimensione della ricchezza, passando poi ad analizzarne la composizione e soprattutto la distribuzione, ovvero il modo in cui è ripartita tra la popolazione, che in molti casi genera disuguaglianza. Quest’ultimo in particolare, sembra essere il vettore a trazione dello studio, per cui l’equità distributiva della ricchezza viene assunta come turning point decisivo della trattazione, pur con le dovute cautele. Gli autori, infatti, mettono in discussione il concetto di equità distributiva, non contestandolo, ma assumendo che per formulare giudizi a riguardo occorre indagare sulle origini della ricchezza, ovvero sulle condizioni che generano disuguaglianza, che si sostanziano nei tre fattori di arricchimento: «[…] il risparmio, che a sua volta dipende dalla capacità di guadagno e dalle decisioni di spesa, i trasferimenti di capitale (come le eredità e i doni), e i capital gains (cioè le variazioni di valore delle attività)».
Al di là dei trasferimenti di capitale, «la ricchezza è anche il risultato delle diverse capacità e del diverso impegno degli individui nel produrla, delle diverse scelte che questi effettuano tra consumo e risparmio, del tipo di attività patrimoniali in cui il risparmio è investito» e ciò dipende anche dal grado di educazione finanziaria che si possiede e che in Italia parrebbe essere piuttosto scarso nella larga maggioranza della popolazione. Ma i diversi livelli di ricchezza che caratterizzano le persone «riflettono in misura rilevante sia le differenti condizioni di partenza, sia fattori casuali e scelte collettive indipendenti dall’abilità e dall’impegno di chi riesce a conseguire il successo economico», per cui «la disuguaglianza nei risultati non è dovuta solo a differenze nelle capacità e nell’impegno individuali». Sotto il profilo dell’equità, quindi, la ricchezza dipende solo in parte dal merito dei singoli. Si ripropone, ancora una volta, il tema delle differenze territoriali, dei contesti familiari, delle condizioni sociali da cui l’individuo proviene e del grado di istruzione, che condizionano fortemente il suo successo economico anche in maniera per così dire “fatalista”. Un concetto, questo, a volte trascurato dalla letteratura specialistica, ma che appare di particolare rilevanza. Gli autori, infatti, dedicano un corposo paragrafo al tema della mobilità tra generazioni, il cui tasso colloca l’Italia nel novero dei paesi a bassa mobilità: secondo le stime, infatti, occorrerebbero «- in media – 5 generazioni per i bambini nati in famiglie a basso reddito per raggiungere il reddito medio». A influire sulla forte dipendenza degli esiti economici di un individuo sono l’impatto della famiglia di origine, i fattori extrafamiliari, il ruolo dell’eredità, l’elevato livello di trasmissione intergenerazionale dei livelli di istruzione, una certa persistenza nel tipo di attività lavorativa svolta dai padri e dai figli. Per cui: «I trasferimenti monetari e quelli di capitale umano e opportunità che sono alla base delle correlazioni dei redditi tendono dunque a sommarsi e a rafforzare i loro effetti in termini di disuguaglianza». Ma non solo: gli autori, in questa prospettiva, non mancano di sottolineare il ruolo fondamentale dei cambiamenti climatici, «che potrebbero avere riflessi sul valore delle varie attività possedute dalle famiglie» e sugli investimenti produttivi. Le scelte compiute oggi sono necessariamente da ponderare anche per il benessere delle generazioni future, orientando gli investimenti nel settore energetico sull’impronta della transizione ecologica poiché «la sostenibilità dovrà essere sempre più considerata nei processi di investimento».
A ciò si correla anche la questione demografica, laddove la capacità di ricchezza di un Paese ne dipende fortemente. In Italia il debito pubblico ha una dimensione assai elevata e le generazioni future dovranno scontarne le conseguenze attraverso la tassazione, ma «se la popolazione di chi produce reddito con il lavoro si riduce in numero, si accentua il problema della sostenibilità del livello di tassazione». La questione generazionale è quindi un altro fattore di discrimine nella valutazione della distribuzione della ricchezza e le politiche volte a conseguire una più elevata crescita economica devono tenere conto di questo aspetto.
In La ricchezza degli italiani si sostanzia la visione di un Paese in perenne ritardo sui propri obiettivi (gli stessi che le misure del PNRR sta cercando di colmare), che pur nei progressi compiuti e traguardi raggiunti nell’arco di poco meno di vent’anni dalla prima edizione del libro, fatica ancora a fare i conti con la necessità di una visione che sia sostenibile e a lungo termine. In una prospettiva storicizzata e contemporaneamente trasversale, Cannari e D’Alessio tracciano il profilo socio-demografico della popolazione italiana nel suo complesso che, mancante di consapevolezza collettiva, o forse di coscienza, non può far altro che adattarsi al passo della Storia, senza possibilità di virarne il corso. La distribuzione della ricchezza, come dimostrato, non riguarda solo un hic et nunc, una visione personalistica e decontestualizzata, ma richiama all’ordine delle responsabilità tutti gli attori politici, economici e sociali di oggi per il domani. Come chiosa dello scritto, gli autori non a caso scelgono un vaticinio (invecchiato male) di uno dei più noti economisti di sempre, John Maynard Keynes: “Fra cento anni il problema economico sarà risolto o almeno sarà prossimo a una risoluzione”. Una previsione che Cannari e D’Alessio definiscono “ottimistica”, poiché gran parte dell’umanità fa ancora i conti con problemi economici di prima grandezza. “È solo un problema di come è distribuita la ricchezza?”, si domandano o forse è arrivato il momento di «tenere a bada quei bisogni che, sempre secondo Keynes, “nascono dal desiderio di superiorità, crescono insieme al tenore di vita e possono in effetti diventare insaziabili”»?
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: La ricchezza degli italiani. Tra cambiamento climatico, declino demografico e innovazione digitale
Autore: Luigi Cannari, Giovanni D’Alessio
Editore: Il Mulino – Collana Farsi un’idea
Anno di pubblicazione: 2023 (prima edizione 2006)
Pagine: 176 pp.
ISBN: 978-88-15-38359-4
Prezzo: 13,00€