Almeno per i cronisti più anziani, faceva una certa impressione la scena che oggi poteva essere osservata all’interno dell’edificio che si trova, a Roma, al n. 36 di corso Trieste. Qui, sul piccolo palco posto in fondo al salone dedicato alla memoria di Angelo Airoldi, sedevano fianco a fianco i segretari generali dei tre sindacati confederali dei metalmeccanici. Al centro, Rocco Palombella, della Uilm-Uil. Alla sua destra, Maurizio Landini, della Fiom-Cgil. E alla sua sinistra, Marco Bentivogli, della Fim-Cisl. Dietro di loro, a fare da fondale della sala, una scritta tutta a caratteri maiuscoli: “Metalmeccanici. Sciopero nazionale per il contratto. 20 aprile duemilasedici”.
L’occasione per questa esibizione di unitarietà è stata la conferenza stampa indetta dai tre sindacati alla vigilia dello sciopero di quattro ore proclamato per mercoledì prossimo. Il primo di questa vertenza contrattuale. Ma anche il primo dal 2007, ovvero da più di otto anni a questa parte. E qui, a ben vedere, le notizie sono due in una. E cioè, che i metalmeccanici tornano a scioperare per il contratto. Ma anche, che tornano a fare uno sciopero indetto unitariamente da Fim, Fiom e Uilm.
Cominciamo dalla prima notizia. Che non è poi così scontata come si potrebbe credere. Lo ha osservato Marco Bentivogli, il quale ha ricordato che, in passato, ci sono stati contratti firmati dopo conflitti aspri e prolungati e contratti firmati al termine di un negoziato conclusosi senza un’ora di sciopero. Il che non è solo vero, ma è importante per capire la situazione attuale. Rispetto al secondo caso, ovvero a quello di accordi raggiunti senza che fosse necessaria una sola ora di astensione dal lavoro, il pensiero corre al contratto del 1994. E si vede subito che ciò fu possibile perché era allora fresco di stampa il cosiddetto protocollo del 23 luglio 1993, ovvero un mega accordo trilaterale fra Governo (guidato allora da Carlo Azeglio Ciampi), Confindustria (guidata da Luigi Abete) e Confederazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil). Un mega accordo che, da un lato, disegnava un nuovo sistema contrattuale, mentre, dall’altro, finalizzava tale sistema a una politica economica (la politica dei redditi) finalizzata, a sua volta, al raggiungimento di due obiettivi: far crescere l’occupazione tenendo bassa l’inflazione.
Senza neppure accennare alle distanze fra due situazioni economiche che più diverse non si può, basta qui tenere a mente, di questo confronto storico, l’aspetto contrattuale. Allora, la definizione di un nuovo, ambizioso sistema favorì anche la rapida conclusione del negoziato per il rinnovo del contratto della maggiore categoria dell’industria. Mentre adesso, come ha sottolineato oggi lo stesso Bentivogli, e come avevano già fatto altri nei mesi scorsi, la trattativa dei metalmeccanici si svolge in un quadro caratterizzato dall’assenza di un sistema condiviso di relazioni industriali. L’accordo del 2009, che sostituì – peraltro senza il consenso della Cgil – il protocollo del 1993, è infatti scaduto. E la contropiattaforma presentata ai sindacati da Federmeccanica e Assistal il 22 dicembre scorso ha finito per caricarsi di significati più ampi. La parola d’ordine del rinnovamento del contratto, lanciata da Federmeccanica e Assistal con un gioco lessicale basato sulla sostituzione della parola “rinnovamento” alla parola “rinnovo”, è tanto piaciuta in Confindustria che i diversi contendenti al ruolo di successore di Squinzi alla testa della Confederazione di viale dell’Astronomia hanno esibito il fatto di avere un punto in comune fra loro: il pieno accordo con la proposta di Federmeccanica. Proposta che, e qui siamo alla motivazione profonda dello sciopero del 20 aprile, viene considerata inaccettabile dai tre sindacati dei metalmeccanici.
A incaricarsi di ricordare ai cronisti oggi presenti a corso Trieste i perché di questo giudizio nettamente negativo è stato Rocco Palombella, segretario generale della Uilm. Vediamo, dunque. Secondo Palombella, queste sono le caratteristiche principali della proposta datoriale in materia retributiva.
Primo. Nessun aumento del salario nominale per tutto il corrente anno 2016. Ciò, per recuperare gli aumenti concessi con l’accordo del dicembre 2012 che, retrospettivamente, vengono considerati dalle imprese eccessivi poiché definiti in base a una previsione di crescita dell’inflazione che è poi risultata, nei fatti, superiore all’inflazione effettivamente realizzatasi.
Secondo. Definizione del cosiddetto “salario minimo di garanzia” in sostituzione degli attuali minimi salariali. Sembra un gioco di parole, ma non lo è. In pratica, nella tradizione italiana il Contratto nazionale fissa i minimi salariali, ovvero il salario orario minimo che deve essere corrisposto, su base mensile e per 13 mensilità annue, ai lavoratori collocati ai vari livelli dell’inquadramento professionale. Sopra questi minimi si appoggiano poi altre voci retributive, quali gli scatti di anzianità e i cosiddetti superminimi frutto della contrattazione individuale o collettiva di secondo livello (aziendale o territoriale), nonché il sovrappiù pagato quale corrispettivo per prestazioni di lavoro straordinario, semifestivo, festivo e notturno.
Invece, la proposta di Federmeccanica fissa un minimo di garanzia composto dalle retribuzioni contrattuali in essere a tutto il 31 dicembre 2015, maggiorate, a partire dal 1° gennaio 2017, di un importo mensile pari a 37,31 euro lordi medi. Ciò a fronte dell’abolizione del cosiddetto “elemento perequativo”, una voce salariale – pari a 485 euro lordi annui – destinata ai dipendenti delle imprese prive di contrattazione aziendale. Dopodiché, eventuali aumenti collegati a una crescita dell’inflazione verificatasi nel 2016, potranno essere corrisposti, a partire dalla mensilità del luglio 2017, ma solo a quei lavoratori la cui “retribuzione individuale”, ovvero la cui paga di fatto, risulti a quel momento inferiore al minimo di garanzia. In pratica, nell’interpretazione dei sindacati, gli eventuali aumenti dei salari nominali così concepiti andrebbero solo ai dipendenti di recente assunzione. Ciò poiché, dopo due anni di attività, il primo scatto di anzianità porterà la retribuzione di qualsiasi metalmeccanico, anche se di poco, al di sopra del nuovo minimo di garanzia. Nei calcoli sindacali, gli aumenti del salario nominale derivanti dal contratto nazionale finirebbero quindi per riguardare, all’incirca, il 5% dei lavoratori della categoria.
Palombella ha ammesso che su altri punti delle piattaforme sindacali, quella condivisa da Fim e Uilm e quella della Fiom, il negoziato ha consentito significativi avanzamenti, specie per ciò che riguarda il cosiddetto welfare contrattuale (sanità integrativa e previdenza complementare) e il diritto soggettivo dei lavoratori alla formazione professionale. Ma per ciò che riguarda le retribuzioni, la proposta datoriale, ha detto ancora Bentivogli, si è come marmorizzata dopo quel 22 dicembre in cui è stata resa nota. Da qui lo sciopero. Indetto dai sindacati, dopo altri tre mesi di negoziato e numerosi incontri, appunto per far cambiare idea a Federmeccanica e Assistal. Per i sindacati, infatti, qui non si tratta solo di livelli retributivi. Ciò che viene messo in gioco con la proposta datoriale è il ruolo stesso del Contratto nazionale. Contratto che finirebbe per perdere la sua funzione di autorità salariale, capace di tenere concretamente insieme, per via retributiva, un mondo variegato come quello che va sotto il nome di industria metalmeccanica. Un mondo composto di imprese piccole, medie e grandi, nazionali e multinazionali, nonché attive in subsettori diversi, che vanno dalla siderurgia all’informatica, dall’auto agli elettrodomestici, dalle macchine utensili alle apparecchiature elettromedicali..
Alla base dello sciopero c’è pero anche un altro motivo, su cui si è soffermato Maurizio Landini. Il quale ha richiamato le affermazioni contenute nell’ultimo Bollettino della Banca d’Italia, nonché in recenti dichiarazioni del suo Governatore, Ignazio Visco. Per non parlare dei ripetuti, recenti interventi compiuti dal Governatore della Bce, Mario Draghi. Analisi e dichiarazioni, queste, convergenti su un punto decisivo. Ovvero sull’idea che se i redditi da lavoro non tornano a crescere, non si avrà ripresa della domanda interna, e che senza ripresa della domanda interna, non ci sarà nessuna possibilità di uscire realmente dalla crisi economica. Il Governo, ha poi aggiunto Landini, dal 2015 non ha lesinato sgravi fiscali e previdenziali a favore delle imprese. E’ ora che qualcosa venga riconosciuto anche ai lavoratori.
Eccoci dunque allo sciopero programmato per mercoledì 20. Oltre alle fermate di 4 ore nei luoghi di lavoro, i sindacati di categoria hanno annunciato una serie di iniziative esterne organizzate allo scopo di dare visibilità a una vertenza che a loro avviso, come si è visto, ha ormai assunto un significato che va oltre i confini della categoria. Landini parlerà dunque a Milano, Bentivogli a Napoli e Palombella a Reggio Emilia, città che è stata scelta perché qui ha sede l’impresa di cui è a capo Bruno Storchi, il Presidente di Federmeccanica. In ogni caso, i tre sindacalisti, dopo aver tastato il polso della categoria con una serie di attivi regionali e di assemblee in fabbrica, si sono mostrati fiduciosi sulla riuscita dell’iniziativa di lotta. Iniziativa che, hanno sottolineato, è finalizzata a una ripresa del negoziato auspicata come più rapida possibile.
Un’ultima osservazione. I gruppi dirigenti nazionali di Fim, Fiom e Uilm si trasferirono nella palazzina di corso Trieste nel 1972, quando la federazione che riuniva i tre sindacati, la mitica Flm, era nata da poco. Quila Flmfu poi sciolta nel 1984, dopo dodici anni di vita appassionata, e qui i tre sindacati cominciarono a vivere come separati in casa, alternando periodi di vigorosa unità d’azione a periodi di freddezza o di scontro aperto. Adesso il pendolo della storia sindacale è tornato verso un inizio di nuova unità d’azione. Per quello che è sicuramente solo un caso, Landini, leader della Fiom, sedeva dietro la bandiera della Fim, Palombella dietro a quella della Fiom e Bentivogli dietro a quella della Uilm. Ma c’è chi dice che, a volte, il caso fa bene le cose.
@Fernando_Liuzzi