Si è commentato molto e molto a sproposito sullo sciopero, più o meno generale, che Cgil e Uil hanno proclamato ed effettuato la scorsa settimana. Soprattutto sono sorte polemiche che appaiono pretestuose e vuote di effettivo contenuto. La prima è relativa al fatto che gli scioperi, specie quelli nei trasporti, vengano effettuati troppo spesso di venerdì. Matteo Salvini, al quale il ruolo istituzionale dovrebbe suggerire comportamenti meno aggressivi, ha parlato del lungo week end che Maurizio Landini e i lavoratori si sarebbero concessi grazie allo sciopero. Parole offensive nei confronti dei lavoratori, per i quali uno sciopero costa danaro e il cui primo pensiero non è certo quello di allungare il week end.
Stupisce proprio questa polemica sulla scelta del venerdì. Lo sciopero non è un atto di cortesia, non è nemmeno un atto di guerra, ma certamente è uno strumento che causa disagi e costringe a qualche riflessione, in primis sulle ragioni dello sciopero stesso. È noto che le persone si spostano soprattutto nel fine settimana, perché rientrano a casa. È comprensibile allora che venga scelta proprio questa giornata.
Altra anomala polemica è quella sulla scelta, fatta da Cgil e Uil, di non procedere con uno sciopero generale in un’unica giornata, ma di spalmare la protesta su più settimane con scioperi diversificati territorialmente e per categoria. Polemica incomprensibile dal momento che è chiaro l’intenzione dei sindacati di rimandare uno sciopero generale, tutto il paese fermo per otto ore, per una successiva evenienza. Il contrasto tra governo e sindacato non è destinato a finire qui, le organizzazioni hanno chiarito che restano in piedi tutte le ragioni che hanno portato allo sciopero del 17 scorso, per cui è prevedibile che ci saranno altre prove di forza.
La terza, e più importante, anomalia nella disputa di questi giorni si riferisce alla definizione dello sciopero come atto politico. I sindacati fanno politica, hanno gridato scandalizzati in molti. Ma gli atti del sindacato, specie quando si riferiscono al rapporto con il governo, sono sempre politici. È politica sindacale, ma sempre politica è, anche perché i sindacati che hanno scioperato hanno come obiettivo dichiarato il cambiamento della politica del governo. Al centro dell’analisi dei sindacati c’è infatti la manovra economica contenuta nella legge di bilancio per il 2024, e non c’è nulla di più politico dell’impostazione della politica economica per l’anno a venire da parte del governo in carica.
È scandaloso che il sindacato punti a un cambiamento della politica economica impostata dal governo? Il punto centrale è la natura del contrasto tra governo e sindacato e la successiva liceità dell’azione dei sindacati tesa a modificare la politica del governo. Che si tratti di un contrasto politico è evidente, il giudizio sulla potenzialità del sindacato di contrastare la politica di governo dipende poi dal punto di vista di ciascuno. Un governo che accetta il contraddittorio con il sindacato accetta anche che la propria strategia economica venga messa in discussione. Un governo che invece non crede nel dialogo politico, prova fastidio e contrarietà nei confronti di un sindacato che mette in discussione le proprie scelte nel campo ampio della politica economica.
Il governo Meloni non crede nella concertazione, si rifiuta cioè di trattare preventivamente con il sindacato le future scelte per il paese. Ma rifiuta anche il dialogo su scelte già fatte. È quindi in discussione il ruolo stesso del sindacato in quanto soggetto politico, anche se soltanto soggetto di politica sindacale. E allora la polemica sulla politicità dello sciopero contro un governo che ragiona in questo modo è pretestuosa. Il sindacato ha una propria visione sulla politica economica che servirebbe al paese, se sciopera per sostenerla fa il proprio mestiere, non invade campi altrui.
E qui si arriva all’ultima anomalia nelle polemiche di questi giorni, il fatto che allo sciopero non abbia aderito la Cisl, l’altra grande organizzazione di lavoratori. Occorre partire dal fatto che le tre sigle sindacali hanno messo a punto assieme le loro rivendicazioni e che, sempre assieme, le hanno poi discusse con l’esecutivo. Tutte e tre sono rimaste insoddisfatte, più Cgil e Uil che la Cisl, ma anche questa ultima ha trovato motivi di critica nei confronti del governo. Si sono poi divise sul tipo di protesta da attuare, due hanno optato per lo sciopero, la Cisl ha preferito una manifestazione di sabato. È una rottura grave? È certamente un indebolimento del fronte sindacale e quindi sarebbe stato meglio individuare un punto di conciliazione, ma il passato ha offerto innumerevoli casi di divisioni, poi superate. La speranza è che questi allontanamenti rientrino velocemente, nel nome del vecchio slogan per cui uniti si vince.
Massimo Mascini