L’unità sindacale non è mai stata negli ultimi anni così precaria come in questi mesi. Lo sciopero separato di Cgil e Uil, senza la Cisl, nel dicembre scorso è stato certamente un grave colpo all’unità di intenti e di azione delle tre confederazioni. Mai nei tempi più recenti era avvenuta una divaricazione così grave delle strategie delle diverse confederazioni dei lavoratori. Ma ancora peggio, non fosse che perché si è trattato di un secondo colpo, la divisione che c’è stata in occasione della marcia, sempre di Cgil e Uil, e senza la Cisl, contro la guerra in Ucraina. Anche in questo caso sono scesi in piazza i lavoratori che aderiscono a due delle tre confederazioni che per lo più negli ultimi anni hanno sempre marciato assieme, gli altri sono rimasti a casa.
La profondità di questa divisione è dimostrata dal fatto che la materia del contendere e del dividersi attiene ai fondamentali della strategia di un sindacato. Nel primo caso la pietra dello scandalo, e della protesta, è stata la politica del governo. Di più, il giudizio di fondo che le diverse confederazioni davano della politica del governo e, più in generale, della situazione politica e in generale del ruolo che potevano svolgere le rappresentanze dei lavoratori. Cgil, e Uil, davano in dicembre un giudizio abbastanza negativo del comportamento dell’esecutivo e marciavano in piazza per manifestare il loro malcontento.
Di diverso avviso la Cisl, per la quale il bicchiere più che mezzo vuoto era mezzo pieno, i risultati ottenuti abbastanza rilevanti, certamente non in grado di giustificare una protesta plateale come è lo sciopero generale, che rappresenta la definizione un’arma finale, l’ultimo colpo di una battaglia lunga e portata avanti con la necessaria gradualità. Una differenza di fondo che ha diviso il mondo sindacale in due parti facendo tornare la memoria ad altre penose divisioni.
Molti hanno attribuito questa divisione all’ambizione “politica” del segretario generale della Cgil che non ha mai nascosto la sua volontà di rafforzare appunto politicamente, con le dovute alleanze all’interno della società, il ruolo del sindacato. Ma non sembra questa la giusta interpretazione, perché anche la storia della Cisl è costellata dagli episodi nei quali questa confederazione ha manifestato la stessa volontà. Pierre Carniti non faceva mistero della volontà della Cisl di essere un soggetto politico e della necessità di dotarsi degli strumenti capaci di aiutare questa trasformazione. Il famoso 0,50% che animò le scene sindacali e politiche alla fine degli anni 70 altro non era che uno strumento che avrebbe dovuto rafforzare il sindacato, dargli capacità finanziaria e quindi maggiore ruolo politico.
La divisione avvenuta in occasione dello sciopero generale di dicembre è stata una cosa tutta differente, un giudizio non coincidente sulla situazione politica e sul confronto tra esecutivo e parti sociali e quindi decisioni diverse sul comportamento che dovevano avere le rappresentanze sindacali. Per due confederazioni era necessario scendere in piazza e contrastare la realtà politica, per la terza era preferibile restare ai tavoli di negoziato e dare forza al confronto.
Del resto una differenza analoga si era già manifestata qualche mese prima quando il sindacato aveva reagito in maniera in maniera difforme alla proposta del presidente di Confindustria Bonomi, subito rilanciata da Draghi, per dare il via a una trattativa triangolare serrata che portasse a un grande accordo sui temi dello sviluppo. Anche qui Luigi Sbarra aveva manifestato subito una forte volontà di aderire a questa proposta e di avviare il confronto, Maurizio Landini era stato molto tiepido, se non negativo, rispetto all’ipotesi di un grande patto sociale. Meglio, molto meglio per lui discutere i problemi uno alla volta e non tutti assieme.
Se la divergenza di dicembre atteneva al ruolo politico del sindacato e al modo di condurre una trattativa, diversa quella che si è manifestata a marzo a proposito dell’Ucraina. Cgil e Uil hanno sostenuto la necessità di condannare tutte le guerre e valorizzare ogni possibile tentativo di fermare con la diplomazia gli orrori dell’invasione, la Cisl ha creduto necessario appoggiare la politica del governo che sostiene la battaglia degli ucraini senza se e senza ma. Tutti a favore della pace e contro la guerra, ma divisi dal comportamento che è necessario avere in queste difficili situazioni.
Ragioni che attengono ai fondamentali della politica del sindacato, o dei sindacati come forse è più giusto dire. E quindi è giusto preoccuparsi per questa divaricazione che non attiene a fatti limitati, marginali, ma investe le ragioni stesse delle formazioni sindacali dei lavoratori e ai loro modi di essere e lottare. Preoccuparsi perché a rimetterci di queste divisioni è tutto il sindacato e quindi la difesa dei diritti dei lavoratori. “Uniti si vince” non è solo uno slogan politico, è una realtà incontrovertibile. Il sindacato quando si divide necessariamente diventa più debole, perde vigore, è meno capace di raggiungere risultati nella sua azione. Tutte le volte che il sindacato si è diviso ha pagato a caro prezzo questa divisione. Anche quando ha vinto una battaglia: nel 1985, in occasione del referendum sulla scala mobile la Cisl vinse sulla Cgil, ma persero tutte e due la guerra, perché fu la politica a prendersi il merito di quella vittoria e per recuperare il peso della divisione servirono anni e anni di difficoltà.
Lo stesso avvenne quando i metalmeccanici si divisero nella battaglia per Pomigliano d’Arco. Il referendum che si fece per decidere quale risposta dare alla Fiat fu vinto dalla Fim e perso dalla Fiom, ma la vera sconfitta fu di tutto il sindacato dei metalmeccanici, che pagò con anni di contratti separati e di contrapposizioni sterili e con l’ingresso in un cono d’ombra che avvolse tutta la categoria. I metalmeccanici, che erano il faro di e per tutto il sindacato, uscirono di scena, persero il loro ruolo egemonico e solo recentemente, quando hanno ripreso a firmare assieme i contratti e a fare contratti buoni se non ottimi, hanno ripreso vigore, sono tornati a rappresentare tutto il sindacato.
Massimo Mascini