Forse ha ragione Giorgia Meloni quando dice ai suoi alleati, e in particolare a Matteo Salvini, che la colpa delle sconfitte in Emilia Romagna e in Umbria – soprattutto in Umbria che in Emilia non c’era partita – va ricercata nella scelta dei candidati, anzi delle candidate. Dunque di Donatella Tesei, governatrice umbra uscente (e uscita), leghista, sconfitta dalla candidata civica del centrosinistra Stefania Proietti, di formazione cattolica e sindaca di Assisi.
Ma invece non ha ragione la premier, o almeno la ha solo in piccola parte. Perché la ragione fondamentale in realtà sono due. La prima sta nella linea politica del centrodestra, in quella dei tagli alla sanità e alle scuole pubbliche (vedi l’idea del bonus per gli studenti di quelle private), quella della pochissima attenzione al territorio (vedi l’alluvione in Romagna e anche a Bologna). La seconda va ricercata nelle continue polemiche pretestuose contro gli avversari, nei toni aggressivi e spesso anche volgari di Salvini contro i ragazzi di sinistra che manifestano e si scontrano con la polizia (“zecche comuniste”) e in quelli dell’impresentabile sindaco di Terni, Stefano Bandecchi, fascista nell’anima e nel corpo che ogni volta che apre bocca è per insultare e presentarsi come il giustiziere nero. Non funziona questa modalità di lotta politica, quantomeno non ha funzionato stavolta. Si votava per i governatori e dai governatori gli elettori si aspettano proposte pratiche, capacità di ascolto dei cittadini, interventi sulle questioni decisive, come appunto la sanità pubblica, la scuiola e la messa in sicurezza del territorio. La destra non è stata capace, anzi non ha voluto occuparsi di queste materie, o se lo ha fatto non si è visto. E’ prevalso lo scontro nazionale, che ha offuscato anche gli impegni che le candidate locali avevano assunto. Dunque, la colpa della sconfitta è tutta di Meloni e Salvini e dei loro adepti (salviamo Tajani, che poverino cerca di distinguersi ma poi non lascia la maggioranza di governo e dunque risulta complice degli altri due).
Dall’altra parte il merito della doppia vittoria va attribuito alla leader del Pd e ovviamente ai nuovi governatori eletti. Elly Schlein ha condotto una buona campagna elettorale, è riuscita a tenere tutti insieme i protagonisti del cosiddetto Campo largo, mettendoci dentro anche qualche renziano sotto mentite spoglie civiche, saltando così i veti dei Cinquestelle e dell’alleanza Verdi-Sinistra di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni che Renzi non possono proprio sopportarlo. Ma l’Umbria e l’Emilia non sono l’Italia, e qui il gioco si fa duro. Non sarà infatti facile per la leader del Partito democratico riuscire a tenere tutti insieme, sia l’anno prossimo quando si voterà in diverse elezioni locali, dal Veneto alla Campania, sia quando gli elettori saranno chiamati alle urne per scegliere il futuro governo del Paese (le elezioni politiche sono previste nel 2027 ma chissà che non succeda qualcosa che le faccia anticipare…).
La prima cosa che succederà è il risultato della Costituente dei Cinquestelle che si terrà sabato e domenica prossimi. Vincerà Conte, e quindi la sua linea più o meno unitaria col Pd, oppure Beppe Grillo e i suoi fedelissimi, che spingono per un ritorno alle origini, ovvero di quella politica (chiamiamola così per carità di patria) del ”Vaffa” che oltre dieci anni fa portò fortuna e consensi al Movimento? E’ evidente che i Cinquestelle si trovano davanti a un bivio cruciale: o pensano di poter lavorare in un’alleanza che punta al governo del Paese, sotto la direzione di Giuseppe Conte, anche a costo di sacrificare qualche percentuale di elettori su quell’altare, oppure decidono di tornare a sopravvivere nel loro splendido isolamento, seguendo Grillo, Virginia Raggi e magari pure il “figliol prodigo” Alessandro Di Battista: puri, duri, ma stavolta inutili, anzi utili a far rivincere la destra. Per saperlo non resta che attendere solo qualche giorno per vedere quale sarà la conclusione dell’assemblea pentastellata.
Ma in ogni caso, Schlein non può fermarsi e accontentarsi delle vittorie regionali. La strategia unitaria della segretaria del Pd ha sicuramente ottenuto due risultati importanti, che però non bastano per proporsi come futura premier. Le servirà mettere a punto una proposta credibile di governo, che affronti tutti i temi sul tappeto. Dall’economia che ristagna al lavoro precario, dagli immigrati che arrivano in Italia, e che non possono e non devono essere deportati in Albania, a un nuovo modello di Welfare che protegga i più deboli compresi gli stessi immigrati, fino alle tasse che sono troppe e troppo alte ma che le pagano soprattutto i meno ricchi. Un vero intervento sull’enorme evasione fiscale, che perseguita il nostro Paese da decenni, non è più possibile rinviarlo. Anche a costo di perdere qualche consenso proprio da parte di quelli che le tasse non le pagano, ma magari di guadagnarne altri, magari rimotivando quei milioni di elettori che si astengono dal voto e che crescono ad ogni tornata elettorale. In Emilia Romagna per esempio ha votato meno del 50 per cento degli aventi diritto, immaginatevi allora cosa potrebbe succedere nel Mezzogiorno…
Riccardo Barenghi