“Signooori! Per favooore! Aiutaaateci! Vi preeego!”. La donna, giovane, lineamenti del viso gradevoli, tutta vestita di nero, un cappuccio di uguale colore a coprire la testa, pronuncia il suo appello con voce querula, strascicata. Un’amara cantilena, come un disco rotto, che riecheggia nell’affollato vagone della metropolitana. Conduce per mano una bimbetta, avrà cinque o sei anni, i capelli biondi, una gonnina rosa a pieghe, gli occhi pieni di malinconica e imbarazzata dolcezza. I viaggiatori ostentano indifferenza o fastidio. Solo una signora osa allungare una moneta sotto gli sguardi di muto rimprovero dei suoi vicini di posto. L’accattonaggio non va alimentato, è il pensiero dominante, andassero a lavorare. Rubano, danno fastidio, si approfittano della nostra bontà. E poi sono tanti, troppi.
La pietà e la forca. Bronislaw Geremk intitolò cosi la sua “storia della miseria e della carità in Europa”. Un libro mirabile, un viaggio nel perenne contrasto tra la compassione e la repressione, tra l’elemosina e la corda o la prigione. Era il 1986. Non poteva prevedere, il coraggioso saggista e uomo politico polacco, perseguitato per il sostegno a Solidarnosc, che, trent’anni dopo, le tenebre di un nuovo medioevo avrebbero offuscato le menti e le coscienze. E riproposto il dilemma del che fare di fronte al pauperismo dilagante. La crisi economica e le ondate di immigrazione hanno prodotto folle di emarginati, di miserabili, di mendicanti, di barboni, di reietti. Negri, gente dell’Est, zingari, italiani, magari con un cartello per specificare una sorta di priorità.
C’è chi freme di tenerezza di fronte ad una mano tesa e chi pensa che si tratti di un parassita che inquina la società . Vittime del sistema o oziosi mangiapane a tradimento? Disperati o imbroglioni? Anche coloro che si cimentano in presunti lavoretti come spazzare i marciapiedi, lavare i vetri delle auto, vendere calzini e fazzoletti di carta o si improvvisano giocolieri al semaforo incassano più insofferenza che oboli. E poi non sempre mettere mano alla tasca è un puro gesto di bontà. La beneficenza conserva connotati religiosi: onorare la questua con la speranza che sia un credito per l’aldilà. Persino l’ostentata filantropia può essere dettata più da una ricerca di prestigio sociale che da un impulso caritatevole. Nulla di nuovo sotto il sole. Ma il volto ingenuo e supplicante del piccolo angelo biondo stringe il cuore in una morsa e trafigge ogni razionalità.
Marco Cianca