Al di là della propaganda di questo o di quel partito, al di là di tutti gli interessi di questa o di quella parte politica, e pure al di là dei giochi che già da tempo si stanno svolgendo nell’ombra, una cosa ci sembra sicura: al momento la partita del Quirinale è avvolta nella nebbia più fitta. Non si sa se l’attuale Capo dello Stato resterà fermo nella sua intenzione di non ricandidarsi. Non si sa se Mario Draghi abbia o meno la voglia di farsi eleggere al Colle. E non si sa neanche quali siano le vere intenzioni dei partiti, anzi dei grandi elettori che tra deputati, senatori e delegati regionali superano i mille. Alcuni dei quali potrebbero giocare ognuno per conto proprio, senza seguire necessariamente le indicazioni dei partiti di riferimento, soprattutto pensando alla difficile rielezione visto che un terzo dei seggi è stato tagliato dalla riforma voluta dai Cinquestelle.
In passato ne abbiamo avuto diverse dimostrazioni, la più eclatante fu quella dei 101 che bocciarono Romano Prodi. Tutti provenienti dalle schiere del centrosinistra, ovvero coloro che avrebbero dovuto votarlo a occhi chiusi. Era il 2013 e la battaglia finì con la rielezione di Giorgio Napolitano, che accettò obtorto collo (chissà quanto obtorto in realtà) di restare ancora un po’ al Quirinale, dopo aver pronunciato un durissimo j’accuse rivolto a tutti i parlamentari, incapaci a suo dire di fare le riforme che servivano al Paese. Quel discorso fu applaudito da tutti, una standing ovation che più ipocrita non si poteva immaginare. In ogni caso, Napolitano resto sul Colle, le riforme nel cassetto e senatori e onorevoli uscirono da Montecitorio soddisfatti e rimborsati.
Altri tempi, nove anni in politica sono un’era geologica, ma non si sa mai. Come diceva Carlo Marx, la storia si ripete sempre due volte: la prima in forma di tragedia e la seconda in forma di farsa. Chissà se i grandi elettori del 2022 riusciranno a evitare la farsa, la quale potrebbe esprimersi sotto diversi aspetti. Per esempio, eleggendo Silvio Berlusconi e bocciando Draghi. Si creerebbe così una situazione surreale, un pregiudicato al Quirinale e il governo del grande banchiere costretto a dimettersi per mancanza di una maggioranza: Pd e Cinquestelle, dopo un voto del genere, non potrebbero più restare nella stessa maggioranza con la destra che ha eletto Berlusconi, Renzi invece ci resterebbe volentieri.
Ma diciamo che questo è uno scenario quasi fantapolitico, e sottolineiamo il quasi. Invece quello più realistico dice che, se Mattarella confermasse la sua indisponibilità a una rielezione, l’uomo che almeno in teoria potrebbe ottenere più voti di tutti gli altri, sarebbe appunto l’attuale premier (a meno che non spunti una donna, che tutti dicono di volere senza crederci fino in fondo). E a quel punto, che succederebbe? Come molti hanno scritto, l’idea del ministro Giancarlo Giorgetti, ovvero che Draghi possa continuare a governare dal Quirinale tramite interposta persona, non sarebbe praticabile, la Costituzione non prevede nulla di simile. Difficile però che l’attuale maggioranza, che già sta in piedi per miracolo, possa rimanere in piedi affidandosi a un altro premier (per esempio il ministro Franco) seppur protetto dal nuovo Capo dello Stato, soprattutto durante un anno preelettorale. Le fibrillazioni di ognuno avrebbero la meglio su qualsiasi impegno, su qualsiasi promessa di garantire la stabilità in nome del Pnrr, il Piano di ricostruzione e resilienza. Non basterebbero le centinaia di miliardi in arrivo dall’Europa per mettere d’accordo Letta e Salvini, Bersani e Renzi, Renzi e Conte… Perché non ci sarebbe un altro Draghi su cui poter contare. Al contrario dei quel che si dice del Papa: in questo caso, “morto” lui non se ne farebbe un altro.
E allora, diciamocelo francamente: se l’attuale premier traslocasse al Quirinale, sarebbero più che probabili la fine della legislatura e le elezioni anticipate nella prossima primavera. Sarebbe un male, sarebbe una catastrofe, significherebbe consegnare il Paese nelle mani della destra sovranista? Significherebbe perdere i soldi dell’Europa e quindi non riuscire a risanare il Paese per ripartire “più belli e più forti che pria” (come diceva il Nerone di Petrolini)? Certo, il rischio c’è, e non bisogna sottovalutarlo, tuttavia…
Tuttavia, la democrazia va rispettata sempre e comunque, anche e soprattutto durante le emergenze, siano esse sanitarie o economiche. E la democrazia ci spiega che il voto dei cittadini non può essere temuto ma che invece bisogna conquistarselo. Ci dice che, magari, dopo quel voto potremmo avere una maggioranza più coesa e un governo più stabile, che potrebbe risultare affidabile anche per l’Europa. Magari – magari! – guidato da un premier di centrosinistra, che ha tutte le carte in mano per poter sperare di vincere le elezioni. Visto che la destra, dopo mesi e mesi di magnifiche sorti e progressive, attualmente non appare in gran forma, divisa al suo interno e senza uno straccio di progetto politico che non sia la pura propaganda (immigrati, tasse e slogan non traducibili nella pratica). È altrettanto vero però che oggi neanche il centrosinistra risulta in gran forma, ma forse avrebbe tempo e modo per consolidare se stesso e presentarsi di fronte agi elettori con un’idea precisa, strutturata, articolata e credibile. Dalle tasse al welfare, dagli immigrati ai diritti civili, dal diritto alla salute ai vaccini fino all’Europa, le idee non gli mancano. Basterebbe crederci, evitando di avere paura della paura stessa: come disse il 4 marzo del 1933, giorno del suo insediamento, Franklin Delano Roosevelt.
Riccardo Barenghi