La pacchia è ricominciata, accusa beato Salvini. Già, è ricominciata per lui. Perché dall’opposizione, scacciato ma non domo e pronto alla vendetta, può sparare a palle incatenate contro la riapertura dei porti che si vantava di aver chiuso. Il suo ex sodale Giuseppe Conte esalta l’accordo raggiunto a Malta con Francia e Germania per la redistribuzione (triste burocratismo) dei poveretti salvati in mare. Una buona soluzione che però non si applica ai disperati che arrivano da soli sulle nostre coste. E sono tanti, anche se risulta difficile quantificarli proprio perché con i barchini fantasma sfuggono ad ogni controllo.
Poi ci sono i disperati, e qualche delinquente, che vagano in semiclandestinità nel nostro Paese. I numeri ballano, da duecento a seicento mila. Di certo i decreti sicurezza, che la nuova maggioranza dovrebbe abrogare in toto, hanno fatto lievitare questa latitanza di massa. E i rimpatri si contano sulle dita di una mano. Anche perché, è il caso della Libia, riportare indietro i fuggiaschi significa consegnarli nelle mani dei loro aguzzini, se non proprio in quelle del boia.
“Sono ripresi gli sbarchi”, ghigna con soddisfazione l’ex ministro degli Interni. Solletica, alimenta ed esaspera quella dissonanza cognitiva che spinge gli italiani ad ingigantire e avvelenare la questione immigratoria. Una patologia sociale che non può essere curata solo con l’annuncio, tanto strombazzato quanto speranzoso, che l’Unione Europea non ci lascerà più soli. Gli episodi d’intolleranza e di razzismo, dai cori negli stadi alle aggressioni con mazze da baseball, non hanno fine. Sono due le battaglie da combattere, con coraggio e determinazione.
La prima riguarda l’inclusione, il rispetto delle regole e il controllo del territorio. I richiedenti asilo sono stati quantificati all’incirca in 170 mila, parte nei centri di accoglienza, parte nei comuni più o meno acquiescenti. Ebbene, proprio il ciondolare indolente e talvolta provocatorio di giovani in buona condizione fisica, induce i residenti di questi borghi, con le mani callose per la fatica quotidiana, ad abbandonare la sinistra e a credere nei proclami della Lega. Perché non pensare, ad esempio, a dei lavori socialmente utili? Senza mai transigere sul rispetto delle regole e della convivenza.
Ma la battaglia più importante è quella culturale. Non basta rivendicare la politica dell’accoglienza in nome dell’umanità, del buon cuore e della pietas cristiana. Bisogna avere il coraggio di sventolare la bandiera della necessità: gli immigrati ci servono. Siamo sempre più vecchi, nascono sempre meno bambini, sono evidenti le esigenze lavorative, tasse e contributi previdenziali pagati da chi ha magari la pelle di un colore diverso possono riempire le casse pubbliche e assicurare le pensioni. Cinismo? Resa all’invasione? Abbandono delle nostre radici? Nulla di tutto questo, ma naturale e condiviso cammino verso l’inevitabile integrazione. Altro che Kalergi e Soros. Sono le leggi del progresso, dell’evoluzione, della storia, della demografia. L’esempio di Riace, pur tra i presunti eccessi del sindaco Mimmo Lucano, dimostra che solo chi viene dall’altra parte del Mediterraneo può rianimare villaggi destinati all’estinzione. E allora avanti, senza pavidità: diritto di voto insieme con quello di cittadinanza, alloggi assegnati senza tollerare rivolte sobillate dai neofascisti, scuole per grandi e piccini, ius soli. L’Italia sarà più coesa, più forte, più ricca. E più allegra.
Buona pacchia a tutti!
Marco Cianca