Il momento sembrerebbe essere propizio. Finalmente si iniziano a delineare nuove normative internazionali in grado di favorire l’adozione, da parte delle cooperative opranti nel campo dello sviluppo, di codici essenziali a poter sfruttare al meglio, e far conoscere, le proprie potenzialità.
Il movimento cooperativo infatti, che a livello mondiale rappresenta 1 miliardo di persone, dando lavoro a 100 milioni di esse, per un fatturato totale di oltre tre trilioni di dollari l’anno, gode di una notorietà inferiore a quella che meriterebbe. E non solo per il “semplice” fatto d’essere una realtà ispirata da principi etici e di solidarietà, quanto per quello di essere una delle poche, nel panorama internazionale dello sviluppo, a mettere in pratica questi principi senza snaturarli.
Mentre le Nazioni Unite si apprestano a discutere i nuovi obiettivi di sviluppo del millennio, all’insegna di uno sviluppo che possa definirsi “realmente” sempre più sostenibile,la CommissioneEuropeaha approvato, in agosto, la riforma dell’ormai datata legge 49/87, che regolava la cooperazione europea con i paesi in via di sviluppo, dotandola di un approccio incentrato proprio sul paradigma del partenariato.
Per questo l’Alleanza delle Cooperative Italiane, nell’ambito del programma di lavoro del semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea, ha scelto di promuovere un ciclo di incontri sul ruolo delle cooperative nello sviluppo internazionale, il quale ha avuto il via oggi presso il Palazzo della Cooperazione a Roma.
Una prima occasione per: “Generare un dibattito costruttivo su come dotare la comunità internazionale di una grammatica comune condivisa, incentrata sulla cooperazione, che possa facilitare l’attuazione dei MDGs (Millenium Development Goals)”, ha affermato, nel corso dell’incontro, uno degli eminenti partecipanti allo stesso, Lapo Pistelli, vice ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale. Ma anche per individuare le priorità di una realtà che ad oggi non è riuscita a far valere il proprio peso specifico nei fora internazionali di dibattito sullo sviluppo post2015, a cominciare dalla necessità che le cooperative stesse “Prendano consapevolezza del proprio ruolo e delle proprie ‘nuove’ potenzialità”, ha aggiunto Pistelli.
Dal dibattito è emersa quindi, soprattutto, e con forza, la necessità di far meglio conoscere le specificità del modello cooperativistico, anche al fine di agevolare la creazione di nuovi modelli di partnership fra pubblico e privato che non si riducano a meccanismi di privatizzazioni, ma che siano motivi di efficentizzazione dei processi di crescita e sviluppo.
Specificità che rendono il modello di cooperazione sociale “naturalmente” adatto a creare sviluppo nei paesi che ne necessitano, poiché, come ha illustrato Claudia Fiaschi, vicepresidente di Confcoopertive Nazionale: “Garantendo a tutti l’accesso all’impresa, crea valore attraverso l’integrazione fra persone ed economia reale”. Un sistema, insomma, che consente di operare all’interno di un orizzonte economico attraverso principi etici, come quello di ‘inclusività’, fondamentale per relazionarsi con le comunità dei paesi in via di sviluppo in quanto stakeholders attivi di un processo condiviso, o quello che informa un tipo di approccio ‘olistico’ necessario a comprendere la multidimensionalità della povertà e dei processi di sviluppo ad essa correlati. Il tutto nella consapevolezza dell’attenzione che sempre si deve porre all’ambiente, in primis politico, nel quale si va ad operare e all’impatto sociale naturalmente generato da qualsivoglia tipo di intervento di sviluppo.
“Ecco perché -ha concluso la Fiaschi- le cooperative hanno nel proprio dna la capacità stessa di rispondere ai bisogni della comunità”.