Lo tsunami Jobs Act passa anche sulla somministrazione di lavoro. Conferma l’impianto di massima (la somministrazione fa parte di quella flessibilità ritenuta “buona”, ormai anche dalla quasi totalità del panorama sindacale), porta qualche novità, lascia qualche perplessità.
Questo è uno di quei casi per i quali l’onda Jobs Act è stata lunghissima; addirittura iniziata a marzo dell’anno scorso con il decreto legge 34 che ha portato (finalmente) l’eliminazione della causale nella somministrazione a termine.
In quel frangente ci si chiese “e la somministrazione a tempo indeterminato”? Perché (ancora più tutelante) deve rimanere contingentata nei casi di utilizzo mentre quella a termine si libera della causale? Domanda rinforzata nel momento in cui si è scoperto che uno dei capisaldi della riforma Renzi 23consisteva nel riportare al centro della scena il contratto a tempo indeterminato (leggasi: esonero contributivo e tutele crescenti).
Il nuovo decreto legislativo sul riordino delle forme contrattuali chiude il cerchio da questo punto di vista, subordinando l’accesso alla somministrazione a tempo indeterminato non più ai casi di utilizzo ma al “solito” limite percentuale,calcolato sulla forza lavoro a tempo indeterminato presente presso l’utilizzatore (20%). Si tratta di un passo avanti, certo; va anche detto, però, che avere per questo contratto – che presuppone l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore – lo stesso limite previsto per il contratto a termine è un po’ stridente. Capisco che passare dai casi ad una fruibilità assoluta poteva sembrare un passo troppo ampio in un solo colpo, tant’è.
Speriamo che la contrattazione collettiva – anche aziendale –, condividendo questa considerazione, eserciti la facoltà concessa dalla nuova norma per ampliare questo limite almeno laddove, ad esempio, ci sial’esigenza di sanare gestioni in appalto al limite della legalità, se non oltre; come avvenuto in questi 11 anni di applicazione.
Altra novità interessante, la possibilità per l’utilizzatore di considerare i lavoratori disabili “ricevuti” in somministrazione con missione superiore ai 12 mesi ai fini dell’assolvimento dei relativi obblighi (legge 68/1999).
Veniamo alle conferme. La somministrazione a termine si riconferma emancipata dalla disciplina del contratto a termine per alcuni aspetti importanti, principalmente: durata massima, limite percentuale, disciplina delle proroghe, “stop and go”, diritto di precedenza. Le norme previste a riguardo per il contratto a termine non si applicano alla somministrazione a termine. I contratti collettivi degli utilizzatori (anche aziendali e questa è una novità) potranno stabilire limiti percentuali all’utilizzo della somministrazione a termine. Limiti non applicabili quando il lavoratore applicato sia in mobilità o fruisca di un ammortizzatore sociale da almeno sei mesi, o sia svantaggiato o molto svantaggiato secondo le categorie definite in sede europea.
Altrettanto, tutte confermate le tutele a favore dei lavoratori, tra cui parità di trattamento, diritti sindacali, salute e sicurezza…
Infine, un paio di perplessità.
Nel sano intento di distinguere contratto a termine e somministrazione il nuovo legislatore si è lasciato prendere un po’ la mano e non ha ribadito anche per quest’ultimo istituto l’esclusione dai limiti quantitativi per fattispecie quali le fasi di avvio di nuove attività, le attività stagionali, le sostituzioni di lavoratori assenti. Per il caso delle start up, almeno ad una prima lettura, l’effetto pare quello di rendere la somministrazione difficilmente utilizzabile; per le attività stagionali fortemente limitata. Un risultato inspiegabile.
Da ultimo, inevitabile osservare come, in un contesto di riforma in cui lo spazio per le sanzioni reintegratorie (reintegra in caso di licenziamento illegittimo, conversione del contratto a termine in caso di violazioni) si restringe, nulla viene cambiato a riguardo per la somministrazione. Anche in questo caso difficilmente spiegabile.
Mauro Soldera