Che i Cinquestelle siano in crisi, non c’è dubbio alcuno. Che non stiano simpatici a molti italiani, idem, malgrado lo siano stati per parecchi anni, fino all’exploit del 2018 con il 33 per cento ottenuto alle elezioni politiche. Per non parlare del loro comportamento ambiguo, per usare un eufemismo, con cambi di fronte da sinistra a destra e viceversa senza soluzione di continuità. Mettiamoci pure l’approccio demagogico alla politica, l’illusione della democrazia diretta, la pulsione infantile dell’uno vale uno, la furia anticasta (che purtroppo ha pure ottenuto grande consenso, e qui la colpa è in gran parte della casta), gli slogan come “apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno” e “abbiamo abolito la povertà”, quando poi i tonni sono diventati loro stessi e i poveri sono sempre lì. Potremmo continuare con l’elenco, ma ci siamo capiti.
Tuttavia, sostenere come dicono molti leader politici, da Matteo Renzi, a Carlo Calenda fino a Matteo Salvini e Giorgia Meloni, passando per Silvio Berlusconi, che il Movimento pentastellato sia ormai morto, appare una speranza fuori luogo e un’analisi strumentale, quindi sbagliata. Se è vero che nelle recenti elezioni amministrative il partito guidato da Giuseppe Conte sia andato malissimo, così come è vero che nel corso degli ultimi anni ha perso parlamentari ed elettori, e oggi rischia di vedere nascere un’altra forza politica concorrente forse guidata da Alessandro Di Battista, il duro e puro, quello che ricorda l’allenatore di calcio Heriberto Herrera (“movimiento, movimiento”), è altrettanto vero che da diverso tempo i sondaggi lo accreditano tra il 15 e il 17 per cento. In altre parole, più del doppio di Forza Italia, almeno il quadruplo di Azione di Calenda e otto volte Italia viva di Renzi. Si tratta di sondaggi, naturalmente, ma su questi oggi bisogna basarsi. I quali dicono, piaccia o meno, che il M5S al momento non è affatto morto. E che con esso bisognerà fare i conti non solo per la prossima elezione del Capo dello Stato, visto che nonostante le fuoriuscite ancora possiede la maggioranza relativa dei parlamentari, ma anche – e soprattutto – in vista delle elezioni politiche, quando ci saranno.
Ora, ammettiamo che Conte riesca a tenere insieme quella parte del Movimento che per comodità di ragionamento possiamo chiamare di sinistra, o che almeno è sensibile ai temi cari alla sinistra, cosa fareste voi se foste Enrico Letta? Guardereste da quella parte o vi girereste verso un fantomatico Centro politico che oggi nei sogni renziani e calendiani? I quali, messi pure insieme, e sommando anche i consensi degli ex berlusconiani reali o presunti arriverebbero, ben che vada, al dieci per cento dei voti? E’ evidente che il leader del Pd dovrebbe scegliere la prima ipotesi, e infatti così sta facendo cercando tuttavia di tenere insieme tutti ma sapendo che tutti insieme non riuscirà a tenerli. Non ci riuscirà perché non appare verosimile che Renzi e Calenda accettino di entrare nello stesso schieramento politico con i Cinquestelle, e viceversa. Troppe sono le differenze politiche, programmatiche e psicologiche, troppi sono stati gli scontri che li hanno divisi e ancora li dividono, e troppe sono le ambizioni personali (diciamo pure personalistiche e addirittura egocentriche) dei due piccoli leader che alla fine impediranno qualsiasi confluenza nel centrosinistra, o campo largo che dir si voglia. E troppe sarebbero anche la contraddizioni interne a uno schieramento del genere, tanto da spingere molti elettori a non votarlo. Certo, se mai fosse possibile sommare i voti di tutti, si potrebbe pensare che solo così sarebbe ipotizzabile sconfiggere la destra, ma la storia ci insegna che i voti in politica non si sommano: se non ti presenti agli elettori con un’idea chiara, un progetto più coerente possibile, e un’alleanza credibile, non vai da nessuna parte.
L’ultimo esempio si chiama legge Zan, affossata l’altro giorno in Senato grazie anche al voto segreto dei renziani. Mentre il loro capo volava tranquillo verso l’Arabia Saudita del “democratico” bin Salman, noto paladino dei diritti civili, in particolare quelli di omosessuali e donne. Ecco, se neanche su un tema come questo, appunto i diritti civili, si è riusciti a tenere insieme il cosiddetto campo largo, figuriamoci su tutto il resto. Un voto, quello di alcuni senatori di Italia viva, che insieme all’accordo stipulato in Sicilia tra Renzi e Gianfranco Micciché, sembra preludere al definitivo smottamento dell’ex leader del Pd verso il centrodestra
Allora, visti i sondaggi, annusato il vento che ha cominciato a spirare da qualche tempo in Italia (elezioni comunali), Letta e Conte farebbero bene a cercare di consolidare la loro precaria unione. Magari agganciandoci anche qualche vagone di sinistra (Bersani e Speranza già ci sono, Vendola e Fratoianni ancora no) e soprattutto la cosiddetta società civile. Ovvero quelle centinaia di associazioni, quelle migliaia di cittadini sparsi nel Paese che magari non si vedono ma esistono. E fanno politica. Un esperimento in questo senso il leader del Pd lo sta già facendo con le Agorà democratiche, Conte invece è ancora troppo impelagato nei dolori del “suo” Movimento per potersi muovere, ma se non si sbriga perde anche questo treno. E allora addio sul serio non solo ai Cinquestelle ma anche a qualsiasi ipotesi di sconfiggere la destra.
Riccardo Barenghi