La Legge di Bilancio – o ‘’manovra fantasma’’, come l’hanno ribattezzata i critici – si palesa a puntate: venerdi il ‘’Documento Programmatico di Bilancio 2017’’, pubblicato sul sito del Mef, sabato invece il decreto fiscale, bollinato dal Quirinale e da ieri in Gazzetta Ufficiale. Sta di fatto che a oltre dieci giorni dalla sua approvazione ufficiale al consiglio dei ministri, il testo completo della legge di bilancio ancora non e’ arrivato alla Camera. I parlamentari, per ora, sono teoricamente fermi alle slide presentate da Matteo Renzi nella conferenza stampa di dieci giorni fa. Intanto, pero’, oggi la conferenza dei capigruppo di Montecitorio, a scatola chiusa, ha fissato il calendario di massima per l’esame della manovra, che dopo essere passata al vaglio delle commissioni, dovrebbe approdare in aula dal 24 novembre. In quali vesti, non si sa: e’ gia’ cambiata piu’ volte prima ancora di essere presentata, quindi e’ decisamente impervio prevedere quale sara’ il testo definitivo.
Tanto piu’ che si attende anche il commento – via libera o bocciatura che sia- dell’Ue, atteso già nei giorni scorsi, ma che ora sembra slitterà a dopo il 4 dicembre, data del referendum costituzionale, ormai il vero spartiacque di tutta la politica nazionale. Qualunque sarà l’opinione della Commissione, però, e forse sulla scia dell’italian pride sfoderato nel corso della visita di Stato in Usa con Barack Obama, Renzi ha già annunciato che la manovra non cambierà: “l’Italia a testa alta non e’ un esercizio di postura – ha detto il premier- L’Italia non può limitarsi a ratificare decisioni altrui. Non e’ esibizione muscolare, ma rispetto verso cittadini italiani che pagano un contributo notevole all’ istituzione europea”.
La manovra, intanto, vale complessivamente 27 miliardi di euro, grossomodo così distribuiti: 7 miliardi in tre anni per le pensioni, compresa l’estensione della quattordicesima ai pensionati piu’ poveri e l’Ape, cioè la possibilità di lasciare il lavoro in anticipo ‘’autofinanziandosi’’ con un mutuo bancario; 1,9 miliardi sotto la voce Pubblica amministrazione, nei quali sarà compreso anche lo stanziamento per il rinnovo dei contratti pubblici; 20 miliardi, in tre anni, per incentivi di vario genere alle imprese, tra cui la conferma del superammortamento al 140% sui beni strumentali, al quale si aggiungerà un ‘iperammortamento’ al 250% sull’investimento in beni innovativi legati alla cosiddetta Industria 4.0. E ancora, viene confermata la detassazione al 10% per i premi di produttività, il cui tetto dovrebbe raddoppiare a 4.000 euro annui, mentre il Fondo centrale di garanzia per le Pmi viene rifinanziato con 900 milioni.
Quanto al decreto fiscale, da cui dipende la copertura di alcune misure della manovra, i miliardi di gettito previsti dall’abolizione di Equitalia e dalla rottamazione di 20 milioni di cartelle esattoriali sono scesi da 4 a 3, e a meno di 2 quelli attesi dall’emersione dei capitali nascosti al fisco, la cosiddetta Voluntary Disclosure Bis Proprio su questo fronte sono arrivate per il governo le prime difficoltà. Sul primo punto, presenta molte incognite la prospettata incorporazione di Equitalia con Agenzia delle Entrate, a causa della diversita’ di assunzione e retribuzione degli addetti dei due enti: i primi con contratto privatistico, i secondi tramite concorso pubblico. Si pensa dunque di sottoporre anche gli ex Equitalia a una sorta di concorso, in modo da consentirne l’ingresso nel perimetro della Pa. Ma i sindacati sono poco convinti, tanto che serpeggiano le prime proteste.
Anche sulla rottamazione delle cartelle si sono accese polemiche: si tratta di un condono fiscale? Il governo smentisce, ma e’ difficile chiamarlo diversamente. E tuttavia, va anche detto che se la capacità di riscossione e’ ferma al 4% di quanto evaso, e se lo stock di “accertato non riscosso” ha raggiunto ormai quota 700 miliardi, qualche cosa andrà pur rivisto in tutto il meccanismo. In un paese che ha oltre 100 miliardi di evasione annua, e in costante aumento, e ‘ chiaro che qualcosa non sta funzionando. Quindi, se queste rottamazioni, o condoni, servissero realmente per istaurare in futuro un sistema diverso e piu’ adeguato nel rapporto fisco-cittadino, ben vengano; mentre se si trattasse solo di un ennesimo salvacondotto, c’e’ da chiedersi se ne valga la pena.
Polemiche a parte, resta che l’obiettivo dichiarato del governo con questa manovra e’ quello di favorire le imprese, partendo dal principio che sono queste ultime a creare sviluppo, occupazione, crescita e benessere. Infatti, mentre i commenti dei sindacati sono a luci e ombre (bene sulle pensioni, dubbi, invece, sia sulla sanatoria fiscale che sull’entità dello stanziamento per i rinnovi pubblici, con Anna Maria Furlan, leader Cisl, che taglia corto: ‘’se parliamo di una miliardata, non e’ abbastanza’’), quelli di Confindustria sono del tutto positivi verso una operazione che solleva non poco i costi delle imprese, sia fiscali che di investimenti. Come ha sottolineato lo stesso Renzi: «Il capitolo competitività è tra i più importanti, si tratta di 20 miliardi, e per questo ora diciamo agli imprenditori: abbiamo fatto l’operazione costo del lavoro, abbiamo fatto l’ operazione jobs act, abbiamo fatto l’ operazione iperammortamenti: ora tocca a voi dimostrare di essere imprenditori e non prenditori”. I diretti interessati hanno risposto in tempo reale, uno per tutti il presidente dei Giovani di Confindustria, inaugurando oggi i lavori del Convegno di Capri: ‘’siamo imprenditori, non prenditori’’, ha orgogliosamente rimarcato Marco Gay.
E tuttavia, fatte salve le sicuramente molte eccezioni, i fatti, e i numeri, al momento dicono altro. Lo dicono, per esempio, gli ultimi dati Inps sull’occupazione, dimostrando che, una volta scemata la convenienza degli sgravi contributivi di due anni fa, le imprese hanno smesso di assumere a tempo indeterminato, mentre hanno ripreso quota i licenziamenti, ora possibili in qualunque momento grazie all’abolizione dell’art 18. Lo dice il boom dei voucher, che sta creando una nuova precarietà mai nemmeno immaginata, lo dice la recentissima crisi del call center, simbolo dei ‘’nuovi lavori moderni’’, che ora rischia di mettere in strada 80 mila addetti. I quali addetti, vale la pena di ricordarlo, in questi ultimi dieci anni sono diventati il simbolo della precarietà stessa, la carne da cannone per eccellenza del mercato del lavoro. E, per scendere più nel particolare, lo dice infine anche il caso Foodora, l’azienda di cibo a domicilio che a Torino sfruttava giovani ciclisti pagandoli appena 2,5 euro a consegna. Dimostrando, anche, che alla fine tutto il mondo e’ paese: la società torinese e’ infatti la costola italiana di una grande impresa di servizi tedesca.
L’evidenza, dunque, e’ che le imprese cercano ancora, innanzi tutto, manodopera a basso costo, malgrado tutte le dichiarazioni sulla competitività e la produttività. Per questo, forse, il governo avrebbe dovuto, a fronte dei miliardi di incentivi erogati in questi anni a favore del sistema imprenditoriale, mettere qualche paletto, chiedere qualcosa in cambio. Qualcosa di più, si intende, che la promessa di un ‘’si’’ al referendum di dicembre sulle riforme costituzionali. Invece, al di la’ delle esortazioni del premier, tutto resta ancora una volta affidato solo buona volontà, alla coscienza dei singoli. Resta solo da sperare che i miliardi che andranno ancora una volta a finanziare un pacchetto di –ipotetico- sviluppo non siano, ancora una volta, soldi buttati. Che proprio non ce lo possiamo più permettere.
Nunzia Penelope