Gli eredi di un lavoratore subordinato hanno agito avanti il Tribunale competente contro l’impresa appaltante dei lavori per ottenere il risarcimento del danno differenziale spettante al loro congiunto, subito in conseguenza di una malattia professionale contratta nello svolgimento dell’attività lavorativa di montatore pontista svolta alle dipendenze di una società appaltatrice.
Il Tribunale ha accolto la domanda risarcitoria ed ha condannato la committente al risarcimento dei danni. La Corte di Appello, però, ha riformato integralmente la sentenza perché, riesaminando le prove raccolte, ha ritenuto che la committente aveva provveduto ad adempiere gli obblighi di sicurezza, ponendo in essere gli opportuni strumenti di prevenzione e di protezione per l’esecuzione delle attività in massima sicurezza nelle aree e nei reparti a maggior rischio. La Corte di Appello ha ritenuto che non vi fosse prova che il lavoratore fosse stato esposto a fibre di asbesto nello svolgimento delle mansioni di montatore pontista, in quanto attività preliminare alla manutenzione e alla riparazione e tale da non comportare un’esposizione continuata in zone con rischio di aerodispersione di fibre; ha ritenuto che vi fosse, invece, prova dell’abitudine al fumo del lavoratore quale fattore di genesi del carcinoma diagnosticato.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla controversia ha affermato l’esistenza dell’obbligo della committente, che affida i lavori in appalto all’interno dell’azienda e nella cui disponibilità permanga l’ambiente di lavoro, “di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendente dell’impresa appaltatrice.” Questi obblighi consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre quanto necessario a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l’appaltatrice nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata.
Nel caso in esame, però, la Corte di Cassazione ha fatto rilevare che la Corte di Appello ha escluso in concreto una responsabilità della committente, avendo accertato l’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi al luogo di lavoro e all’attività lavorativa, con il conforto delle prove raccolte sulle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa di montatore pontista.
La Corte di Cassazione ha ribadito che era onere del lavoratore fornire la prova del fatto costituente l’inadempimento e il nesso di causalità materiale tra l’inadempimento e il danno subito ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione prevista dall’articolo 1218 del codice civile.
Per la Cassazione “ove le misure di sicurezza debbano essere ricavate dall’art. 2087 c.c., cd. innominate, la prova liberatoria è generalmente correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, quali anche l’assolvimento di puntuali obblighi di comunicazione e più specificamente, al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute incombe l’onere di provare, oltre all’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’una e l’altra”.
Nel caso sottoposto al suo esame, la Corte di Cassazione ha concluso che la sentenza dei giudici di Appello, nel ripartire l’onere probatorio a carico delle parti si è ispirata correttamente “alla regola di preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non”. Applicando questo principio, ha correttamente dedotto che la malattia professionale con più probabilità non era riconducibile alle strutture aziendale dell’attività lavorativa svolta ma alla condizione soggettiva di fumatore. Cassazione Civile Ord. Sez. L Num. 37453 Anno 2022 data pubblicazione: 21/12/2022.
La Cassazione ha condannato gli eredi del lavoratore al pagamento delle spese processuali a favore delle controparti che per questo titolo hanno diritto di vedersi corrispondere l’importo complessivo di euro 16.050,32. In esecuzione del duro e puro principio della soccombenza, senza altri contemperamenti.
Biagio Cartillone