Lo psicodramma in corso nel settore automotive è lo specchio di un mondo incapace di prendere decisioni. Accomuna governi nazionali e istituzioni europee, gruppi industriali, manager, sindacati, partiti politici, associazioni e cittadini. E ciascuno ha la sua responsabilità precisa, non può scaricarla su altri.
La transizione al motore elettrico è una decisione logica, efficace, presa dopo molte titubanze, con ritardo. Interviene su uno degli elementi fondamentali della transizione energetica e consente di ridurre in modo molto significativo l’inquinamento atmosferico, soprattutto nelle aree urbane, in cui è più grave. Chi sostiene la necessità di trasformare “prima” tutta la filiera di produzione e distribuzione dell’energia ignora un principio fondamentale dell’economia contemporanea, che prevede di implementare le trasformazioni nel punto più prossimo a quello di utilizzo finale, non il contrario. Sostituire il parco auto ad alimentazione fossile è già di per sé una transizione e neppure troppo breve.
L’industria ha avuto molto tempo per prepararsi, ne sono la riprova Tesla e i produttori cinesi, e pur riconoscendo la necessità di un periodo in cui sfruttare la cash cow, quelli europei avrebbero potuto seriamente organizzarsi, per mantenere le posizioni di leadership e acquisirne di nuove. In ogni transizione si perdono e si creano posti di lavoro, ma purtroppo quasi tutti i sindacati sono esclusivamente focalizzati sulle perdite. Si aggiungano al mix forze politiche di opposizione che culturalmente fanno leva sulla “pancia” di chi non ha voglia di cambiare abitudini e l’invecchiamento della popolazione, che ne favorisce la conservazione.
Oggi i sistemi industriali, di Italia e Germania soprattutto, pagano duramente queste incertezze e la loro crisi alimenta nuovi ritardi, compromessi e transizioni infinite. Che costano care a tutti. Ma nonostante il tempo perduto è ancora possibile recuperare, con uno sforzo di chiarezza e con la capacità di assumere decisioni coerenti.
Definire con chiarezza i tempi di transizione alla produzione interamente elettrica di auto. Occorre abbandonare rapidamente le soluzioni ibride: sono inefficienti dal punto di vista dei consumi, a causa del peso delle batterie, non aiutano a modificare le abitudini, ritardano la domanda di auto elettriche, sono responsabili in modo rilevante dell’aumento dei prezzi.
Intervenire rapidamente sulle reti distributive. Occorre riconvertire le stazioni di servizio e potenziare le reti elettriche. Occorre tener conto che la ricarica elettrica è a tempo zero se effettuata in contemporanea ad altre attività, deve perciò essere disponibile presso i grandi attrattori di pubblico (supermercati, aree di shopping, sport e spettacolo, parcheggi pubblici) e presso le abitazioni. A loro volta le stazioni di ricarica diventano attrattori per attività di shopping e ristorazione, specialmente in viaggio e in zone extraurbane. Occorrono norme e incentivi per installare stazioni di ricarica nei garage condominiali, superando gli infiniti ostacoli oggi esistenti. Chi parla di neutralità tecnologica sembra ignorare i costi elevatissimi legati al mantenimento di reti distributive plurime.
Favorire con incentivi rilevanti la riconversione della componentistica: quella chiave è legata alle batterie, occorre costruire gigafactory in Europa e presidiare i mercati delle materie prime, affidando all’UE l’intero processo; ma è necessario investire sulla ricerca per migliorare prestazioni, costi, impatto ecologico e rischi geo-strategici. Dobbiamo poi dire con chiarezza a cittadini e sindacati che gran parte delle altre componenti di un’auto, salvo quelle del motore endotermico, continueranno a essere prodotte!
Dovrebbe essere chiaro a tutti che la crisi della domanda deriva dalle troppe incertezze normative e da una transizione i cui tempi stanno diventando indefiniti.
Nel frattempo, si possono adottare politiche difensive, per un tempo limitato, per evitare lo spiazzamento dell’industria europea: il dibattito sui dazi ignora troppo spesso la necessità di evitare che il prezzo all’importazioni risulti basso per effetto di politiche di dumping, di salari e servizi sociali bassi e di sussidi statali senza limiti.
Ma il problema ormai è dilagante: migliaia di lavoratori si troveranno senza lavoro in Italia e Germania nei prossimi anni. Si rischia di ricorrere alla solita ricetta fallimentare che prevede di mantenere le fabbriche con i sussidi pubblici e di elargire cassa integrazione senza limiti. Pochi sindacati reclamano politiche attive efficaci: qualcuno sta parlando, ad esempio, del Fondo Nuove Competenze 3 ? In una fase di forte carenza di manodopera, in tutti i settori, la riconversione potrebbe avere costi limitati, con il coinvolgimento delle imprese che assumono.
Tra i tanti attori coinvolti non appaiono all’orizzonte soggetti capaci di vedere con chiarezza la realtà e, di conseguenza, decidere. L’automobile è un’oggetto quotidiano e simbolico, ciò che vi ruota intorno ha un effetto rilevante su ogni cittadino; la crisi dell’automotive rischia così di alimentare la malattia sociale, alimentando la ricerca di soluzioni drastiche per uscire dall’incertezza. L’inquietudine corrompe i comportamenti, l’idolatria del dubbio non è segno d’intelligenza; il dubbio sano si limita ad allertare la coscienza, senza interferire sulle decisioni, che devono essere basate su ciò che sappiamo, ora, fino a prova contraria.
Sembrerà un’iperbole, ma nel brodo dal sapore indefinito nascono e crescono i mostri autoritari.
Mario Mantovani