Caro direttore,
noto con piacere ma anche con un po’ di sorpresa che il mio articolo su Bruno Trentin continua a suscitare il confronto tra alcuni ex sindacalisti della mia generazione. In particolare viene preso di mira un episodio, certamente significativo, tra i tanti che videro Trentin come protagonista: l’accordo con il Governo Amato del 31 luglio 1992. L’interesse per quella vicenda è comprensibile per chi l’ha vissuta: l’accordo segnò la fine della scala mobile e aprì una discussione difficile all’interno della Cgil anche in conseguenza delle successive dimissioni di Trentin (poi ritirate dopo la riunione del Consiglio generale di settembre).
Nel mio scritto mi sono limitato a ricordare quella circostanza soprattutto per quanto riguardò la sequela dei fatti e il logoramento dei rapporti tra Trentin e Del Turco, senza voler ridurre (lo dico a Giuseppe Casadio, che sul Diario e’ intervenuto su questo tema) ad una partita di scacchi tra i due la storia di quelle giornate (anzi di quelle notti) e degli anni che erano trascorsi dopo il famoso decreto del 1984. Ho riconosciuto pure che la Cgil aveva votato una posizione che poi venne abbandonata durante la trattativa (per valutazioni che continuo a giudicare giuste e corrette) ed ho ammesso che, a mio avviso, la componente socialista sbagliò, allora, a far passare, all’interno della Cgil in vista del confronto con il Governo, una proposta di riforma della scala mobile ormai ‘’fuori mercato’’, nella consapevolezza, un po’ opportunistica, che, poi, le castagne dal fuoco le avrebbe tolte Giuliano Amato.
Non ho aggiunto altro, anche perché quella notte io non ero a Roma, ma in ferie. Chiesi ad Ottaviano Del Turco se dovessi rientrare, ma ne venni esonerato (forse volle solo essere cortese con me). Poi, nel giro di poche ore la situazione precipitò ma io mi trovavo a centinaia di km di distanza. E’ almeno da un quarto di secolo che mi rodo per quell’atto di diserzione. Ricordo che cercai di rimediare partecipando attivamente alle polemiche quotidiane che accompagnarono i dirigenti della Cgil per tutto il mese di agosto. Devo pertanto ringraziare Walter Cerfeda per almeno due motivi: il primo, per aver scritto che allora faceva parte dell’apparato centrale in attesa di una ristrutturazione della segreteria senza dire che in realtà era in attesa di entrare al mio posto, essendo ormai insostenibile la mia presenza in Cgil, viste le mie posizioni di aperto sostegno al Governo Amato (tanto che me ne andai all’inizio del 1993, chiamato da Giorgio Benevento a far parte della segreteria del Psi, dove rimasi un paio di mesi per poi tornare, quando Giorgio si dimise, in Cgil alla Casa editrice Ediesse, su mia richiesta). Il secondo, è quello di aver ricordato quanti erano i dirigenti (solo sei) a far parte della delegazione della Cgil in quella notte (due – Cerfeda e Stefano Patriarca – non erano neppure membri della segreteria).
Pertanto, oltre alla mia imperdonabile defezione (questa è una confessione liberatoria!), c’erano, per quanto riguardava la componente socialista, altre assenze ben più autorevoli della mia. In sostanza, come racconta Cerfeda, a decidere per la firma dell’accordo fu il voto di Sergio Cofferati (che io, quando eravamo insieme ai chimici, avevo soprannominato ‘’luce e guida’’). Fu un gesto coraggioso il suo, devo riconoscerlo, seppure a 25 anni di distanza. In ogni caso ha un senso continuare a parlare di quella notte e delle settimane che seguirono ? In mancanza di quell’accordo non ci sarebbe mai stato lo storico protocollo del 1993, che definì, è vero, il ruolo dei livelli di contrattazione, ma prese anche atto che la ‘’scala mobile’’ era defunta. Lasciamo allora che i morti (noi lo saremo presto) seppelliscano i morti. Al dunque, come affermano le Scritture, la vita trascorsa è come la giornata di ieri che è passata, come un turno di veglia nella notte.
Giuliano Cazzola