Tra i paradossi che la pandemia sta palesando c’è anche un’inedita torsione dello spazio del “politico”; con una doppia traslocazione del discorso pubblico dal Parlamento, sede naturale di discussione e approvazione delle leggi, alla conferenza Stato-regioni e dalla sezione di partito, sede tradizionale di proselitismo e fidelizzazione, alla piazza virtuale dei salotti televisivi.
Sul primo aspetto, oggi, interviene autorevolmente Sabino Cassese sul Corriere della Sera che, nel commentare l’evidente anarchia esistente nei rapporti istituzionali, ne attribuisce la responsabilità a scelte sbagliate da parte dell’esecutivo.
“Perché tanta babele nelle nostre istituzioni? All’origine, si è imboccata la strada sbagliata. La Costituzione riserva la profilassi internazionale esclusivamente allo Stato. Nonostante che il virus non rispetti i confini regionali, si è preferito, invece, riconoscere competenze concorrenti a Stato e regioni”.
Ricordiamo, ad addendum, che le competenze statali in tema di profilassi internazionali sono stabilite sia dalla legge 833/1978 di istituzione del servizio sanitario nazionale e sia dall’articolo 117 del novellato titolo V della costituzione che all’articolo 120 prevede anche i poteri sostitutivi dello stato in caso di inadempienze delle regioni.
La scelta dell’esecutivo di impoverire il parlamento, comprimendone gli spazi di discussione, è in parte insito nello stato di emergenza, più volte reiterato, con quello che ne consegue in termini di emanazione di DPCM che, per loro definizione, sono atti non soggetti ad approvazione da parte del Parlamento. La discussione in sede parlamentare tuttavia sta subendo un ridimensionamento anche verso altri provvedimenti, come legge di bilancio, che dovrebbero essere ampiamente discussi nei due rami del parlamento e che invece si dovranno accontentare del vaglio di una sola delle due camere. Anche in questo caso qualcuno potrebbe obiettare che l’emergenza del paese (non soltanto sanitaria ma anche e di pari misura economico-finanziaria) obbliga al varo di provvedimenti che, dovendosi adeguare al rapido mutare delle condizioni del paese, rendono impossibile una discussione approfondita in sede parlamentare.
Sabino Cassese nell’articolo citato non sembra credere a questa narrazione e punta il dito su una precisa strategia dell’esecutivo tesa a neutralizzare l’opposizione.
“Come è noto, il Parlamento dovrebbe essere il luogo del dialogo-conflitto tra governo e opposizioni. Ma, in una situazione nella quale le regioni sono per tre quarti nelle mani dall’opposizione, il governo preferisce dialogare e confliggere con le regioni, sia perché queste sono a loro volta divise, sia perché riesce ad ottenere un altro beneficio, quello di mettere su un binario morto il leader dell’opposizione. Il governo centrale così ottiene un vantaggio (perché dialoga direttamente con i presidenti regionali, tra cui vi sono i potenziali concorrenti del leader dell’opposizione), ma con un costo molto alto per le istituzioni, perché svuota il Parlamento (la dialettica maggioranza-opposizioni non si svolge né a Montecitorio né a Palazzo Madama) e mescola la dialettica istituzionale Stato-regioni con quella politica maggioranza-opposizioni”.
Per quanto riguarda il secondo aspetto è altrettanto evidente come i talk show televisivi abbiano progressivamente occupato il posto lasciato vuoto sia dal parlamento e sia dai luoghi fisici di articolazione dei partiti. I talk show infatti si sono trasformati in luoghi di discussione o meglio di scontro politico in cui al cittadino viene riservato il ruolo, poco educativo, di spettatore passivo e in cui il conduttore di turno, rinuncia spesso alla sua terzietà, mostrando più o meno chiaramente le sue preferenze politiche; ed infatti i talk show coprono oggi l’intero arco costituzionale esistendone di destra, di sinistra e di centro con tanto di invitati, virologi compresi, di cui sono altrettanto palesi inclinazioni politiche. E a dimostrazione di questo alcuni di loro si sono già riconvertiti in politici di professione e altri sono vezzeggiati e sollecitati a compiere il salto nell’iperuranio della politica guerreggiata.
l ruolo dei media televisivi è diventato talmente centrale che al rito dell’interrogatorio da parte del giornalista non si sottrae nessun politico nella consapevolezza che quello spazio è ormai l’unica occasione per rendere visibile il proprio pensiero e avere contatto con quel popolo dimentico delle piazze; emblematica in tal senso la scelta del Ministro Di Maio, appartenente a un movimento che all’esordio aveva posizioni di totale chiusura verso il mezzo televisivo, di recarsi in TV prima di intervenire agli Stati generali del suo partito, anticipando in quasi mezz’ora quanto avrebbe poi avrebbe succintamente esposto nella sede congressuale nei 5 minuti a sua disposizione. Uno “sgarbo” verso i propri militanti che in altri tempi non sarebbe stato tollerato e che invece non ha sollevato alcuna obiezione, essendo ormai chiaro che è la televisione il luogo esclusivo dell’agire politico.
Dello stesso segno le lunghe narrazioni in TV del presidente Conte, noiose e paternalistiche, a cui fanno da contraltare le sparute e concise comparse della Presidente Merkel e Macron in cui vengono illustrati esclusivamente i provvedimenti che sono stati assunti e che, nel caso della Germania, verranno rispettati anche dai diversi Lander.
E qui si ritorna alla mancanza di una sana dialettica con l’opposizione di cui parlava Sabino Cassese; anche in questo caso è la scorciatoia la via maestra. Si vuole coinvolgere l’opposizione nell’assunzione di responsabilità della drammatica situazione del paese e si comincia con il favorire Berlusconi con l’emendamento salva Mediaset dall’ OPA ostile di Vivendi. E in cambio, come previsto, un pugno di mosche perché, una volta incassata la norma, il Cavaliere cambia registro e si rifiuta di votare la riforma del MES per non scontrarsi con Salvini e nonostante l’opposizione di parte del suo partito.
La politica è dunque latitante dal Parlamento e dalle piazze e questo non è un bene per il paese che mostra ostilità crescente verso il teatrino che ogni giorno e ad ogni ora si rende visibile accendendo il televisore. Un’anomalia che va rimossa nel più breve tempo possibile onde evitare che la frattura tra popolo e istituzioni diventi ancora più profonda.
Roberto Polillo