“Lo Stato sono io” è la celebre frase del Re Sole. Oggi, di fronte agli episodi di rivolta in Francia, dovremmo chiederci dove va lo Stato francese, ma soprattutto se l’idea di Stato in tutta Europa (nonché in Occidente) non abbia bisogno di qualcosa di più che una…rimessa a punto.
La rivolta in Francia sta diventando un fenomeno endemico. Un campanello d’allarme per lo stato di salute delle democrazie europee come se fosse una sorta di sciame sismico che ad intervalli segnala problemi d’ogni tipo: funzionamento delle Istituzioni, emarginazione, conflittualità religiosa, spostamento a destra delle opinioni pubbliche nazionali, ma anche la crisi della famiglia, la fragilità delle giovani generazioni, l’assenza di proposte valoriali come un tempo, ad esempio, era in grado di avanzare la sinistra europea.
La rivolta francese si spegnerà, ma con ogni probabilità il fuoco coverà sotto la cenere. È significativo infatti che questa volta la preoccupazione nel mondo per la instabilità transalpina sia apparsa assai più vasta: la Svizzera è stata toccata, la Germania ha espresso il suo disappunto, Israele ha messo in guardia dal risorgente antisemitismo, l’Iran ha ammonito sulle violenze a danni degli islamici.
Riemergono problemi ai quali non si riesce a dare risposta, perché molto difficili da esaurire con una sola ricetta: in primo luogo l’integrazione di migliaia di persone che provengono dall’immigrazione ormai da decenni e non solo di nuova acquisizione; la latente concorrenzialità fra matrici religiose; il declino industriale europeo che fa mancare un modello che aveva dato non solo lavoro e benessere ma anche welfare e diritti. La rivoluzione digitale sta finendo il…lavoro tracciando confini sempre più rigidi nei riguardi della esclusione sociale e culturale.
È un problema solo francese? Francamente sarebbe miope considerarlo tale e tirare un sospiro di sollievo se esso venisse accantonato con la repressione della polizia e risorse per riparare i danni nei comuni colpiti dalla ondata di proteste.
Forse abbiamo dato troppe pseudo-verità per scontate: che la modernità portasse con sé una riduzione dei cittadini alla partecipazione della vita democratica; che la rivoluzione tecnologica al dunque finisse per “meticciare” l’intera popolazione, che gli strumenti dello Stato e della democrazia come i partiti fossero necessariamente destinati ad essere soppiantati da nuove forme di gestione del consenso; che la stessa comunicazione a partire dai social fosse “neutrale” rispetto alla formazione delle opinioni.
E invece dovremmo trarre una lezione ben più profonda dagli eventi francesi: non si tratta di restaurare, si tratta di ricostruire con un lavoro che si preannuncia comunque tutto in salita.
Il fenomeno che balza agli occhi è quello del ruolo da offrire alla immigrazione presente e futura. L’accoglienza non basta, l’integrazione è un percorso denso di incognite, ma non ha alternative.
L’integrazione però non può essere efficace se non si considerano situazioni che comunque presenteranno ostacoli da affrontare: se l’economia di un Paese non è forte, se la convivenza civile di quello stesso Paese non è strutturata in modo da realizzare un’etica condivisa, una sostanziale sicurezza in tutti i campi, dal lavoro alle garanzie per la persona, se sul terreno della rivoluzione digitale e quindi della formazione non si passa dalle parole ai fatti, non si potranno fare passi avanti e si presterà il fianco sempre a un clima di proteste che finiranno probabilmente per spostare a destra lo Stato, le forze di polizia, i poteri forti, buona parte di quella cittadinanza non più giovane.
Chi si occupa di fare un esame serio di tale situazione? La politica è deficitaria, la sinistra italiana appare fuori gioco perché sta investendo su formule vuote e su slogan di comodo. Eppure è proprio dall’umanesismo di sinistra che si può tentare di affrontare in modo realistico, ma anche strutturale, le tensioni che di solito dalla Francia prima o poi si propagano anche in Occidente. Non possiamo certo affidarci alla sola repressione, ma non possiamo nemmeno rifugiarsi in soluzioni di corto respiro. A sinistra in particolare si è persa la cognizione stessa della civiltà del lavoro, ripiegando invece sull’assistenzialismo di stato, oppure su un liberismo camuffato da una presenza dello Stato dai contorni indefinibili, e come tali forieri di ingiustizie e diseguaglianze. Eppure, proprio l‘uguaglianza dovrebbe essere uno dei termini di riferimento obbligati in questa situazione. E ancor più in Europa dove una vera e significativa presenza di una sinistra alla …Bad Godesberg latita da troppo tempo.
È facile, anche se non fuori di luogo, attribuire le maggiori responsabilità al vento di destra in Europa, figlio di un egoismo da benessere che ha contagiato tutte le culture politiche, peraltro come ammonivano i Papi già sulla fine del secolo scorso. È molto più difficile mettersi in gioco nuovamente. Eppure, non c’è altra scelta se non si vuole essere condannati a convivere con uno stato di incertezze sociali e culturali sempre più pericoloso.
Anche il mondo sindacale europeo può offrire un grande contributo in questa direzione, se non altro perché può battersi affinché la civiltà del lavoro impedisca il formarsi di diseguaglianze troppo marcate. Occorrerebbe tornare a quell’impegno del passato, nel quale l’azione tipicamente sindacale si fondeva con la richiesta forte di riforme. Certo non dobbiamo illuderci: fra le righe spunta l’insidia di un ritorno ad intolleranze religiose mischiate a vocazioni integraliste. Non dimentichiamo mai non solo i richiami di Oriana Fallaci, ma più ancora di discorso di Ratisbona di Papa Ratzinger. Non per accettarli in toto, ci mancherebbe, ma per capire quanto sia delicata e controversa la questione che tiene insieme fedi religiose diverse e che le proietta per giunta nell’agone della vita democratica. La religione, per talune aree emarginate, sta tornando ad essere una speranza ma anche una bandiera da brandire “contro”. Perché ciò avvenga occorre un grande impegno, che elimini le ragioni di abbandono di tante famiglie e al tempo stesso sappia dare allo Stato quella autorevolezza in grado di farsi rispettare senza sparare proiettili mortali di gomma.
Si dice spesso che il torto maggiore è quello di rifiutare la sfida dell’era digitale, ma non si può ignorare che prima di quella sfida c’è sempre il dovere di una risposta positiva alla nostra umanità. Se manca, ecco quello che succede.
Paolo Pirani
Consigliere Cnel