L’unità sindacale sembra scivolare via nell’indifferenza generale. Non se ne parla più, e sarebbe poco. Non si pratica più assiduamente, e questo è un guaio. Ma soprattutto questo impallidire dell’ideale unitario non sembra interessi più a nessuno. Fino a qualche tempo fa gli stessi leader sindacali negavano che l’unità fosse quanto meno passata di moda, affermavano che le tre confederazioni marciavano assieme e si dividevano solo sul giudizio relativo ai risultati della loro azione. Adesso siamo passati non all’insulto, ma a qualcosa che gli si avvicina molto. Maurizio Landini dice che il leader della Cisl è stato colto da un colpo di fulmine per la maggioranza di governo, Luigi Sbarra afferma che il suo collega della Cgil ha preso un colpo di sole e, quindi, par di intuire, non capisce cosa stia accadendo.
Ma soprattutto colpisce che le due maggiori confederazioni, la Cgil e la Cisl, abbiano varato importanti iniziative senza sentire il bisogno di avere accanto a sé l’altra confederazione. La Cisl ha messo in campo l’iniziativa della legge popolare per la partecipazione, e lo ha fatto in piena autonomia dal resto del sindacato, lo stesso sembra stia facendo la Cgil, con l’ondata referendaria voluta da Landini. Iniziative corpose, in grado di dare una precisa connotazione alla loro segreteria, eppure sia Sbarra che Landini si sono mossi con determinazione, senza cercare compagni di strada nelle altre organizzazioni.
Una situazione difficile per il sindacato preso nel suo insieme, perché è noto che uniti si vince, o comunque si è più forti ed è più possibile che alla fine si colga il risultato sperato: come ci ha ricordato anche Carmelo Barbagallo, già leader della Uil, oggi a capo dei pensionati, nell’intervista rilasciata al nostro giornale, nella quale ribadisce il valore in sé dell’unità. Le esperienze del passato, del resto, dimostrano che quando si sono allentati i vincoli unitari immediatamente si è verificato nel sindacato un calo di capacità operativa, con un danno oggettivo per i lavoratori, nell’interesse dei quali i sindacati sono chiamati ad agire. Una verità che però fatica a essere tenuta nel dovuto conto. Le persone che contano, i leader e i loro principali collaboratori, appaiono distratti, poco attenti al pericolo che il sindacato nel suo insieme sta correndo.
Un fenomeno che per fortuna non sembra toccare le federazioni di categoria, che continuano ad avere contatti continui. Sarebbe strano il contrario, tenendo conto che stanno per partire le vertenze dei rinnovi contrattuali e senza unità non sarebbe facile cogliere il risultato pieno. Per il momento le piattaforme rivendicative dei diversi settori sono state messe a punto assieme e assieme sono state avviate le prime contrattazioni. Del resto, c’è un precedente importante sulla collaborazione tra le categorie, quello che avvenne nell’inverno-primavera del 2008.
Le tre confederazioni si erano platealmente divise sulle nuove regole della contrattazione. Cisl e Uil avevano firmato un accordo con governo e Confindustria, la Cgil di Guglielmo Epifani non aveva firmato quell’accordo. Una situazione di estrema difficoltà, proprio perché stavano per partire le trattative per il rinnovo di tutti i grandi contratti dell’industria. Il pericolo era quello di non riuscire a rinnovare i contratti, o di farlo in maniera separata, aggravando la frattura che aveva diviso le confederazioni.
Vinse il buon senso, perché le categorie trovarono il modo per firmare i nuovi contratti in modo da rispettare le nuove regole, ma allo stesso tempo dare aumenti salariali più o meno superiori alle regole stesse. Con qualche salto mortale ogni federazione riuscì a dire di aver rispettato le proprie regole e il proprio sentire, senza creare divisioni. I lavoratori ebbero il loro nuovo contratto e dopo un paio di anni anche le confederazioni raggiunsero sulla materia un accordo.
Questa volta non sarà necessario un comportamento così contorto, dato che le federazioni sembrano restie a rompere l’unità d’azione, quanto meno in materia contrattuale. Ma la divisione che si è verificata a livello confederale sembra forte e tutto lascia intendere che nel prossimo futuro la frattura possa accentuarsi e soprattutto allargarsi. Il pericolo è che le diversità di opinioni crescano e portino a modelli di società, di economia, di sindacato distanti tra loro. Un segnale negativo è venuto nel momento in cui Cgil, Cisl e Uil non sono state in grado di trovare un accordo per commemorare gli 80 anni dalla morte di Bruno Buozzi, vero padre del Patto di Roma del 1943, che quel patto non poté firmare perché ucciso dalla violenza nazifascista, ma che era la persona che più si era battuta per la rinascita del sindacato unitario. Se crescono le divisioni e si arriva a mondi lontani tra loro, se cresce lo sfilacciamento, se le ideologie divergono, potrebbe essere imboccata una via di non ritorno. Pericolosa per tutti.
Massimo Mascini