Quante volte figliolo? Chiedeva il prete al ragazzino che gli confessava i suoi peccati, spesso sessuali, di gioventù. Il ragazzino rispondeva e il prete, magnanimo, lo assolveva impartendogli di recitare qualche preghiera per redimersi.
Oggi quel ragazzino è un uomo maturo e si chiama Matteo Salvini. I suoi peccati non sono di natura sessuale, questi non li conosciamo e neanche ci interessano, ma sono politici. E soprattutto sono tanti e reiterati: non passa giorno che il capo della Lega non dica qualcosa di stonato, spesso concetti (chiamiamoli così), urticanti, volgari, antipatici, soprattutto profondamente sbagliati. Qualsiasi sia il tema in discussione, Salvini interviene a modo suo, ossia dicendo la cosa più sgradevole gli sia venuta in mente.
L’ultima in ordine di tempo riguarda la morte del dissidente russo Navalny: mentre tutto il mondo civile si indigna e protesta contro chi quella morte ha provocato, cioè il leader russo Vladimir Putin o chi per lui, il leghista si erge a supremo garantista: “Non siamo noi a poter decidere come è morto Navalny, bensì i medici e i magistrati russi”. Come se non sapesse che in quel Paese non esiste l’autonomia della magistratura dal potere politico e neanche quella dei medici. Dunque, si tratta di un’evidente
arringa politica in difesa del dittatore russo, al di là di ogni ragionevole dubbio. D’altra parte sono noti i legami politici, ideologici ed economici che negli anni Salvini ha avuto con Mosca, basta ricordare i suoi viaggi nella capitale russa, gli affari con il partito di Putin gestiti dal suo amico e faccendiere Gianluca Savoini, fino alla maglietta con la faccia dello zar e la sua famigerata frase: “Cedo due Mattarella per mezzo Putin”.
Adesso però quel mezzo Putin, che poi è più intero che mai visto quello che sta combinando e che tra poche settimane “vincerà” di nuovo le elezioni, non riscuote molto consenso nel mondo occidentale, Italia compresa, e compreso il governo italiano di cui Salvini è ministro e pure vicepremier. Sia per la guerra che ha scatenato contro l’Ucraina, sia per la morte di Navalny, per non parlare dei tanti dissidenti e giornalisti uccisi o imprigionati nei nuovi gulag russi, il capo della Russia non è molto amato nel mondo occidentale (e forse, chissà, neanche nella sua patria). Tuttavia, il capo leghista non molla una palla, non perde occasione per tacere mettendo in imbarazzo non solo il resto del suo governo, a cominciare dal leader di Forza Italia Antonio Tajani, ma anche una buona parte del suo partito, i cosiddetti leghisti moderati, dai governatori del Veneto e del Friuli Luca Zaia e Massimiliano Fedriga, al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Fino alla stessa premier Giorgia Meloni che, non si sa se per convinzione o per opportunismo politico, ma certo non esprime le stesse posizioni del suo alleato-rivale. L’obiettivo di Meloni ormai è chiarissimo: vuole accreditarsi in Europa e in Occidente come una leader affidabile, non più estremista, certamente non putiniana. Dunque, non può e non vuole seguire Salvini nella sua deriva sempre più di destra, sostanzialmente fascistoide. Paradossi della storia, visto che semmai dovrebbe essere proprio la presidente del consiglio quella più vicina alla destra radicale.
Al momento sembra evidente che la convivenza politica tra i due sia arrivata molto vicina a un punto di rottura, ma è altrettanto evidente che la rottura non si verificherà almeno fino alle elezioni europee. Il governo e la maggioranza continueranno a marciare divisi per tentare di colpire uniti, ma non è detto che ci riescano, soprattutto se i risultati dei voti che da domenica prossima in Sardegna fino alle amministrative e appunto alle europee dovessero penalizzare la Lega e premiare Fratelli d’Italia, e magari pure l’ex partito di Silvio Berlusconi.
A quel punto potrebbe esplodere la coalizione di governo, potrebbe per esempio accadere che Salvini si faccia prendere dall’ira funesta e provochi la crisi, anche se il suo fiasco del 2019, quando fece cadere il governo giallo-verde perché pretendeva le elezioni anticipate e i “pieni poteri” non ottenendo né le prime né i secondi, dovrebbe avergli insegnato qualcosa. Oppure che venga costretto a dimettersi da segretario leghista lasciando il posto a personaggi più presentabili in società. Fantapolitica? Lo scopriremo solo votando.
Riccardo Barenghi