Non intendo affrontare, in generale, la questione del salario minimo e, in particolare, del progetto di legge che unifica le opposizioni (tranne Italia viva). Ma, avvalendomi di sessant’anni di esperienza politica, mi sento di accusare di dabbenaggine i dirigenti delle forze politiche presentatrici della proposta, rivolgendo loro, innanzitutto, una domanda. Era vostra intenzione conseguire l’obiettivo di istituire lo SMIC anche in Italia oppure vi bastava dimostrare all’opinione pubblica che la destra – brutta e cattiva – è contraria al salario minimo sancito per legge? Se lo scopo era questo non c’era bisogno di darsi tanto daffare. Bastava chiederlo. Il governo e la maggioranza lo avrebbero confermato senza alcun patema d’animo, anzi avrebbero ricordato la risoluzione approvata dalla Camera (con l’astensione del Terzo Polo ) in cui stava scritto a chiare lettere: “Con la definizione per legge di un salario minimo si metterebbe a rischio il sistema della contrattazione collettiva, con il serio pericolo di favorire la tendenza alla diminuzione delle ore lavorate, l’aumento del lavoro nero, l’incremento della disoccupazione e l’aumento dei contratti di lavoro irregolare e dei contratti «pirata»”. Considerazioni opinabili, ma non del tutto infondate nella complessità di un dibattito aperto da anni.
Ma procediamo con ordine. Reduci dalla sonora sconfitta nelle regionali del Molise (il candidato della destra ha preso quali il doppio dei voti dell’avversario), l’inedita coalizione Pd-M5S- Azione- Avs pochi giorni dopo realizza un’operazione importante: l’intesa su di una questione seria, importante, che interessa milioni di lavoratori (questa è una valutazione oggettiva che prescinde dal merito). A sostegno della proposta si schierano due importanti confederazioni (la Cgil e la Uil); la Confindustria fa il pesce in barile; i giornali amici (i talk show sono in ferie) si scatenano con fior di articoli a sostegno dell’operazione; scendono in campo i giuslavoristi; le istituzioni e gli enti preposti stilano e consegnano i loro contributi corredati di dati e statistiche, da cui risultano i benefici che deriverebbero dall’operazione (ovviamente senza porsi il problema delle coperture). In sostanza metà del Paese si compiace per il fatto che le opposizioni, fino ad ora a caccia di farfalle sotto l’Arco di Tito, si sono messe d’accordo su di una questione di sostanza, in linea (un po’ forzata) con la Ue. È tale l’entusiasmo che il rapporto finisce con un’eiaculazione precoce. Poiché i regolamenti parlamentari riconoscono alle minoranze di chiedere la calendarizzazione e l’esame di provvedimenti di loro scelta, i gruppi di opposizione hanno pensato bene di avvalersi di tale opzione per il pdl sul salario minimo da loro presentato. Così, per bruciare i tempi, hanno finito anche per bruciare il pdl. Alla maggioranza è bastata l’applicazione del regolamento. Grazie all’astensione dei deputati di destra in Commissione, la proposta delle minoranze è divenuta il testo base su cui presentare gli emendamenti. La maggioranza ha presentato e voterà un emendamento soppressivo; così si toglierà il pensiero. Sic transit gloria mundi.
Non ci voleva molto a capire che seguendo questo percorso l’opposizione avrebbe offerto il collo alla mannaia della maggioranza, che non si sarebbe di certo “ravveduta” e arresa per garantire un successo politico agli avversari. Speravano forse che la ministra del Lavoro venisse in Commissione ad affermare che il governo si era pentito ed aveva compreso quanto fosse sbagliato il suo convincimento negativo? Alla fine, le opposizioni avevano una sola carta da giocare; è stato un errore sprecarla per troppa fretta, anche perché non riusciranno mai più a ritrovarsi unite su di un progetto più mobilitante di questo. Non crederanno mica che sotto gli ombrelloni gli italiani commenteranno, con i vicini, la protervia della destra che ha rifiutato di assecondare una proposta virtuosa delle opposizioni? Peraltro da qui alle prossime elezioni europee, diventerà molto difficile usare quest’argomento contro la maggioranza, anche perché la realtà è spietata nell’archiviare i problemi che fino a poco tempo prima erano al centro di polemiche accanite. Chi parla più delle modifiche al RdC? Inoltre, il momento della verità anche per lo SMIC sarebbe arrivato con la legge di bilancio. Era quindi, più utile, guadagnare tempo, far crescere il dibattito. La stessa Confindustria aveva lasciato intravvedere delle aperture che meritavano di essere esplorate, perché un’intesa tra le parti (col recupero della Cisl) avrebbe favorito anche la via legislativa, come è avvenuto in tanti altri casi. Forse sarebbe opportuno provare a ripartire da qui. Ma ci vuole sale in zucca. Luciano Lama diceva che non basta avere ragione (ammesso e non concesso che l’abbiano “i quattro amici al bar” di Campobasso), ma bisogna riuscire a farsela dare.
Giuliano Cazzola