È sempre fuorviante giudicare gli avvenimenti sindacali con il metro della politica. Si fa presto a commettere errori, spesso anche madornali e, soprattutto, a insistere su questi errori. Un caso classico è l’affermazione secondo la quale Maurizio Landini, il segretario generale della Cgil, “fa politica”. Lui respinge con forza tale vulgata, sostenendo che è vero che fa politica, ma, a differenza di quanto dicono i suoi detrattori, fa politica sindacale. Un confronto con il governo sui temi della politica economica è certamente un atto politico, ma rientra decisamente nella politica sindacale. E invece tutti insistono ad affermare che il suo intento è prettamente politico, aggiungendo poi che alla fine si deciderà e passerà direttamente in, o meglio, a capo di un partito.
Lo stesso accade, sempre in questi giorni, con la Cisl. Il commento generalizzato è che la confederazione di Daniela Fumarola si è schierata con il centrodestra e in particolare con Fratelli d’Italia della Meloni. Non può che essere così, argomentano i benpensanti, infatti Cgil e Uil scioperano contro il governo, la Cisl no, quindi sta dalla parte del governo. La realtà è un’altra. La Cisl ha un proprio programma, che peraltro ha definito assieme alle altre due confederazioni, e sulla base di questo programma, sempre assieme a Cgil e Uil, si è confrontata con il governo.
Le tre confederazioni hanno marciato assieme, si sono poi divise nel momento in cui si è trattato di valutare i risultati ottenuti dall’interlocuzione. Cgil e Uil non li hanno ritenuti sufficienti e hanno deciso di scioperare, la Cisl ha ritenuto che quelli portati a casa non siano quelli sperati, ma che siano sufficienti. E non ha scioperato. Basta questo per dichiarare che la Cisl ha scelto di stare dalla parte del governo? Probabilmente no, anche perché non si deve assolutamente sottovalutare il forte senso di autonomia che l’ha sempre caratterizzata.
L’autonomia è stata sempre, dal momento della fondazione nel 1950, un tratto caratteristico della Cisl, uno dei suoi principi fondativi, sulla base dei quali ha condotto tutte le proprie battaglie. Un esempio è la battaglia della scala mobile. In quel fine inverno del 1984 Pierre Carniti, il segretario della Cisl, e Bettino Craxi, che era presidente del Consiglio e segretario del Psi, marciarono l’uno a fianco dell’altro. Ma chi conosce quei fatti sa che a guidare quella marcia non fu il Psi, bensì la Cisl. Tanto è vero che nel momento del massimo scontro con il Pci, Craxi vacillò ed ebbe la tentazione di cercare un accordo con gli avversari. Ma Carniti, che pure era ricoverato in ospedale, non ebbe un attimo di esitazione. Se vuoi fare un accordo procedi pure, disse al presidente del Consiglio, io vado avanti per la mia strada. Craxi desistette e procedettero assieme.
L’autonomia è forte nei confronti della politica, ma anche verso i propri vertici. Quando Sergio D’Antoni, amato segretario generale della Cisl, lasciò la confederazione nel 2001 ebbe la tentazione di trasferirsi in politica e fondò un partito, che chiamò Democrazia europea. Contava sull’appoggio delle strutture della confederazione, ma aveva sbagliato i conti. Fui testimone di quegli accadimenti perché, proprio per verificare un possibile schieramento della Cisl, feci per Il Sole 24 Ore un’inchiesta in quattro regioni per capire che atteggiamento avrebbero preso i militanti della confederazione. Ed ebbi la sorpresa che tutti indistintamente affermarono che D’Antoni era un grande leader e per questo assicurarono che avrebbero valutato con grande attenzione le proposte che avrebbe fatto da politico. Così fecero, ma il risultato non fu quello che D’Antoni si aspettava. Il suo partito non raggiunse il quorum. Aveva prevalso l’autonomia.
E lo stesso accadde quando, quasi alla fine della sua segreteria generale in Cgil, nel 2002, Sergio Cofferati cercò di schierare la confederazione nella battaglia congressuale del Pds appoggiando quello che veniva chiamato il Correntone. Sembrava impresa facile, il partito aveva settecentomila iscritti, la Cgil più di cinque milioni di tesserati. Non andò così e il Correntone perse il congresso. Anche in quel caso a vincere fu l’autonomia del sindacato.
Massimo Mascini