Carlo Callieri, già vicepresidente di Confindustria tra il 92 e il 2000, alla fine degli anni Settanta era il direttore del personale Fiat. Come tale, ha avuto un ruolo chiave nella vertenza dei 45 giorni, che si concluse con la Marcia dei Quarantamila. Di fronte a lui, al tavolo di quella durissima trattativa, sedeva anche Pierre Carniti, all’epoca segretario generale della Fim Cisl. Ecco come Callieri ricostruisce quei giorni convulsi, a partire dal suo primo incontro con lo storico leader metalmeccanico, in un estratto del capitolo contenuto nel volume di autori vari “ Pensiero, azione, autonomia. Saggi e testimonianze per Pierre Carniti”, in uscita per Edizioni Lavoro a metà ottobre.
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“La prima volta è nella primavera-estate del 1971. Fim, Fiom e Uilm presentano alla Fiat una “piattaforma” complessa, carica di rivendicazioni che rischiano di travolgere l’assetto organizzativo e produttivo dell’azienda, in particolare dell’auto, che con il ’68 e il ’69 aveva risentito di un forte calo di produttività e di perdite rilevanti di produzione per conflittualità ampiamente diffusa, sia a livello macro, sia – e ancor più devastanti – a livello micro. Le rivendicazioni investono l’inquadramento, la retribuzione a cottimo collettivo, le paghe di posto, il riconoscimento del consiglio di fabbrica come agente contrattuale generale in azienda, con una applicazione massiva (moltiplicata per 2) della disciplina delle RSA da Statuto.
La trattativa all’Unione Industriale di Torino procede in modo estenuante. Durerà più di 106 giorni per arrivare a conclusione, passando per una convocazione ministeriale, con più di un mese di attesa per la firma (contestata dai delegati di base). Con la convocazione al Ministero del Lavoro, entrano in campo i Segretari di Fim, Fiom, Uilm ed è per me l’occasione di conoscere Carniti. Nelle plenarie, con una platea affollata di delegati, teneva prevalentemente banco Trentin, con un argomentare serrato e suadente. Gli interventi di Carniti li ricordo brevi e secchi come frustate, talvolta ironici, quasi sfottenti. (….)
Le lunghe pause tra i diversi incontri, il passeggio tra i corridoi, le anticamere e le stanze del Ministero consentivano la vicinanza e l’incontro tra accaniti fumatori: io con le Gitanes, Carniti con i Toscani ammezzati, Trentin con la pipa. (….). Carniti, con qualche battuta e sfottò sulle rispettive qualità del fumo, si guadagnò la mia simpatia, consentendo momenti intensi di conversazione e confronto su temi di attualità politici, economici e sociali non strettamente legati alla vertenza.
Ero allora giovane, liberale e progressista (non è una contraddizione) e guardavo con preoccupazione l’inizio dello sfascio del celebrato miracolo economico italiano, a partire dalle fabbriche e dai mercati, passando dalla scuola all’università, per arrivare alla diffusione della violenza e del nascente terrorismo a corrosione dei sistemi di civile convivenza.
Carniti vedeva in quei fenomeni anche i lati positivi, la vitalità, la ricerca di nuovi equilibri, l’aprirsi di nuove opportunità. In me era prevalente la preoccupazione e una visione di futuro problematico, se non drammatico. All’esposizione di questa mia fosca visione, Carniti se ne esce mezzo triste e mezzo ironico, con una battuta: “tenga conto che le potenzialità di degrado del nostro Paese sono infinite, come la Divina Provvidenza”. Obiettai che era una visione da cattolico e cinico, e così si concluse l’ultima conversazione in quella vertenza. La sua battuta mi ha roso l’anima per qualche decennio. Ogni volta che ero contento per l’illusione di aver raddrizzato qualcosa e simmetricamente quando l’illusione di progresso franava sotto i colpi dell’eterna italianità. Il rodimento è finito quando ho capito e dovuto ammettere che Carniti aveva ragione e gliel’ho detto in un recente incontro. Ha fatto un sogghigno a mezza bocca, le sopracciglia ad accento circonflesso e mi ha battuto consolatoriamente la spalla.
Poco ho partecipato alla trattativa per l’accordo del 1975 sul punto unico di contingenza. Ero ancora in Direzione centrale del personale, con un ruolo defilato. Il nuovo Direttore del personale, l’Ingegner Aldo De Pieri veniva dalla Direzione dello stabilimento meccanica di Rivalta, ed era stato scelto personalmente da Umberto Agnelli. De Pieri era persona franca, simpatica ed aperta; era un cattolico militante in associazioni di solidarietà, ed era interprete coerente del filone di pensiero aziendale guidato dalla Fondazione Agnelli e dal suo Direttore Ubaldo Scassellati ed ispirato alla filosofia di Felice Balbo di partecipazione egualitaristica e solidale dei lavoratori alle vicende dell’azienda.
Quando nel 75 l’Avvocato Agnelli assume la presidenza di Confindustria, si fa strada l’illusione che uno strumento di perequazione ed adeguamento salariale valga ad evitare conflittualità, contrattazione esasperata ed apra prospettive di “pace sociale”. Un rapporto personale e diretto tra De Pieri e Carniti vale, credo, ad agevolare la trattativa confederale, su cui l’Avvocato Agnelli si muove con convinzione. In quei giorni, vado a Roma in Confindustria ad informarlo su altri problemi che seguivo fiduciariamente per lui. Ho incontrato casualmente la delegazione sindacale, in uscita dal suo ufficio. Pierre Carniti è allegro e su di giri; aveva, per usare una vecchia battuta di Silvio Berlusconi, il sole in tasca. L’Avvocato mi chiede incidentalmente cosa ne pensassi dell’accordo che si sta definendo e rispondo che ritengo critico il valore unico del punto, che sarà fattore di appiattimento e mortificazione della professionalità. L’obiezione – condivisa in Fiat da tutta la “vecchia guardia” della direzione del personale – non trova attenzione e nasce l’accordo che giornali e popolazione attribuiscono a Lama ed Agnelli. Per me, dovrebbe invece essere attribuito a De Pieri e Carniti. (….)
Carniti, ed è l’ultimo grande impegno della sua gestione della Cisl, fa parziale ammenda degli eccessi della contingenza con l’accordo del 14/2/1984, l’accordo di San Valentino. Si schierò e con lui tutta la Cisl, contro la proposta del Partito Comunista di referendum abrogativo delle norme di sostegno all’accordo stesso. Qualche tempo dopo, l’Avvocato Agnelli, in un incontro con Luciano Lama, ormai Senatore, dirà: “Caro Lama, a sostenere che quello sulla contingenza fu un buon accordo siamo rimasti soltanto io e lei”.
Incrocio ancora Carniti sul mio percorso professionale nel 1979-1980, richiamato da Umberto Agnelli in Fiat Auto come Direttore del personale, con l’Ingegner Ghidella. Ho dovuto affrontare una situazione caotica e prefallimentare. Il “mood” consolidato dei rapporti poteva essere inquadrato solo come consociativo, con i quadri dell’Azienda che ad ogni inizio turno concordavano al meglio, sulla base dei rapporti di forza più che sui dati tecnici e di organico, le quantità di prodotto con i delegati sindacali, con microconflittualità e fermate produttive che vanificavano anche il programma convenuto.
I Quadri intermedi demotivati e privi di appoggio dalla dirigenza, che in qualche caso approfittava del disordine per far passare acquisti e investimenti senza merito, erano in più rassegnati a sostanziale omertà nei confronti di ogni abuso per timore di esporsi a rappresaglie terroristiche: più di 200 furono in Fiat i feriti e i morti da attentati nei dieci anni dal ’70 al ’79.
Il rapporto tra Capo e Delegato era diventato quasi una simbiosi, licenziamenti e provvedimenti disciplinari erano del tutto assenti; rappresentanti sindacali interni ed esterni godevano di privilegi negati agli stessi capi, i rappresentanti esterni avevano permessi permanenti per entrare e girare in fabbrica in auto, parcheggiando dove volevano e trasportando persone e carichi; non controllati, usavano le postazioni di sorveglianza e i telefoni aziendali come centri di comunicazione e di smistamento.
Riacquistare la fiducia dei capi, tracciare linee di separazione tra responsabilità dell’Azienda e responsabilità del Sindacato ha richiesto comportamenti coerenti e investimenti in tenuta dei rapporti di forza: nel rinnovo del Contratto Nazionale e in vertenze interne (soprattutto in Carrozzeria a Mirafiori, in Finizione e Verniciatura) scioperi e blocchi di produzione hanno comportato la perdita produttiva di più di 250.000 vetture.
Si ricominciò a licenziare per fatti di violenza ai Capi, supportati da documentazione fotografica e televisiva, in mancanza di ogni disponibilità a testimoniare per timore di rappresaglie. In particolare, l’acuirsi dell’impatto degli attentati terroristici (l’uccisione dell’Ingegner Carlo Ghiglieno, la gambizzazione del Dr. Cesare Varetto) ha consentito/imposto un’operazione di intervento su scala più ampia con il licenziamento dei 61 operai di 5 stabilimenti torinesi per fatti di grave indisciplina e di violenza, antagonismo irriducibile, contiguità al terrorismo e appartenenza a formazioni terroristiche.
Subito dopo l’uccisione di Ghiglieno, l’Avvocato Agnelli organizza una riunione con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil nella sede romana dell’Ifi (oggi Exor), al secondo piano della sua casa di via XXV Maggio, a Roma. Accompagnavo lui e Romiti, dopo aver passato con loro in rassegna una imponente documentazione fotografica in ampio formato, messa insieme con rischio e pericolo personale da due fidati collaboratori (uno subì dopo qualche settimana dall’essersi esposto in una ripresa fotografica un attentato da cui riuscì fortunosamente illeso).
Romiti illustra in modo monocorde e grave le immagini che via via poso sul tavolo, che mostrano devastazione di uffici e palazzine direzionali da parte di gruppi coordinati, vetture e materiali rovesciati, gogne di impiegati e di capi fatti passare tra masse scalmanate che li coprivano di sputi e di percosse, con in testa – come ostaggi – alcuni capi, stimolati a marciare con bastoni e varia attrezzatura, infine piccoli gruppi di persone mascherate munite di spranghe, martelli, cacciaviti, impegnati nella caccia a capi e sorveglianti.
Da ultimo, e qui Romiti alzò il tono e riprese inflessioni romane, una serie di fotografie del sottopiano di Mirafiori Carrozzeria, quello dei basamenti dei grandi impianti, costellati di giacigli di fortuna ricavati dagli scarti di sellatura, con relativa fioritura di contraccettivi in gomma. Rivolto a Lama, si lanciò in un’accesa disamina sulla governabilità. Sintetizzo al massimo: “invece de lavorà giocano a carte, fanno commercio di ogni genere, compresi quelli carnali”. Mentre Lama, rosso in faccia, si apprestava a rispondere, dicendo che erano comportamenti indegni della classe operaia, Carniti, di fronte a me, a bassa voce mi dice:”vedrà che adesso le dirà di licenziarli.” Il licenziamento dei 61 fu accolto con favore in fabbrica, non solo dai capi, ma dagli stessi operai che erano buoni giudici del merito delle scelte, tanto che fattori di perdite produttive come assenteismo e microconflittualità crollarono ai minimi storici. Fiat Auto si ritrovò con un eccesso di capacità produttiva da smaltire con cassa integrazione e l’eccedenza cresceva con gli ulteriori recuperi di efficienza.
Si arriva così al settembre del 1980. Fiat apre formalmente la procedura di licenziamento collettivo per 14.400 lavoratori, preceduta da ripetuti incontri sindacali all’Unione Industriale di Torino e da una clamorosa intervista di Umberto Agnelli che invoca svalutazione e licenziamenti per affrontare la pesante crisi dell’economia e dell’Azienda. (….)
Non mi dilungo nel raccontare i vari passaggi della vertenza dei 45 giorni, di cui ho già molto raccontato in altre sedi. Con l’approdo al Ministero del Lavoro, entrano in campo i segretari generali delle Confederazioni, e la differenza di posizioni si cristallizza sul punto della cassa integrazione: se debba essere a rotazione (Sindacato) o con mobilità interaziendale , e quindi fissa (Azienda), secondo il nuovo disposto del contratto dei meccanici, rinnovato l’anno prima.
Gli stabilimenti della Fiat sono bloccati da presidi permanenti ai cancelli. Le discussioni al Ministero impegnano in riunioni ristrette i soli Romiti e Ghidella, senza supporti e quindi esposti a violente pressioni politiche da vari esponenti del Governo. Il Ministro del Lavoro, Franco Foschi, psichiatra marchigiano e fiduciario di Donat Cattin, presenta ai segretari generali una bozza del decreto che consente il commissariamento della Fiat, facendola illustrare (non aveva il coraggio) contemporaneamente dal capo di Gabinetto non a Romiti e Ghidella, ma a Cesare Annibaldi e a me, i “tecnici” dell’Azienda. Lama, a nome dei i tre segretari generali, rifiuta seccamente, Annibaldi prende per la giacca il capo di Gabinetto dicendogli di vergognarsi.
Intanto, il muro contro muro logora le capacità di tenuta del sindacato, che per tenere il blocco fa arrivare a sorpresa pullman di attivisti da Genova, Milano, Brescia, Reggio Emilia, Bologna e altre città. Si arriva così agli ultimi giorni della vertenza. Romiti e Ghidella, che aprono ad un’esplorazione di ipotesi di rotazione accompagnata da formazione finanziata, a me non dicono niente per risparmiarsi il fastidio della mia opposizione irriducibile. Le liste di cassa integrazione le avevo gestite io, e sapevo bene come erano composte. Percepivo, inoltre, chiaramente che il clima in città stava cambiando e che in Azienda si era formata una larghissima opinione a noi favorevole tra gli stessi operai.
La decisione dei capi di scendere in campo (io ho soltanto suggerito di non chiudersi nel Teatro Nuovo ma di organizzarsi per la piazza) e un incontro a tu per tu con Giorgio Benvenuto, che, ignaro della mia ignoranza, voleva capire meglio alcuni aspetti del ventilato accordo, mi hanno consentito di intervenire pesantemente su Romiti per rinviare l’incontro decisivo e permettere così la manifestazione (quella poi nota come Marcia dei Quarantamila, ndr) Per la prima volta in tutta la vertenza, il giorno dopo l’incontro con Romiti, mi telefona l’Avvocato Agnelli, che era rimasto volutamente fuori dalla vicenda, per chiedermi informazioni, valutazioni, opinioni. Da ultimo, mi chiede della manifestazione: “Callieri, quanti saranno?”, ”Tanti!”, rispondo. “Ma quanti?” insiste, “vedrà, Avvocato, tantissimi, verranno tutti quelli che hanno a cuore le sorti della Fiat.”
E così l’incontro decisivo slittò al giorno previsto per la manifestazione, il resto è alle cronache, salvo il ruolo di Carniti nell’accordo finale. Per vecchia abitudine, avevo preparato con Cesare Annibaldi e Giuseppe Panzani, gli altri “tecnici” della delegazione, un testo stringato di accordo come lo avrei voluto, con lista fissa di cassa integrazione che teneva però conto di esigenze irrinunciabili, a mio giudizio, per il sindacato: la cassa integrazione e la mobilità non erano “a perdere”, ma era previsto a medio termine il rientro per i non ricollocati. Lama chiede a Romiti, al termine dell’incontro all’Hotel Boston e in vista dell’appuntamento al Ministero, di preparare una bozza d’accordo per guadagnare tempo. A Romiti dunque consegno, a parte, quel testo, guardandolo fisso e dicendo: “non modificabile”. La riunione al Ministero avviene in seduta ristretta – Ministro, segretari generali delle Confederazioni, Romiti, Ghidella- e non è breve. So, per sentito dire, che Carniti si oppone a chiudere la vertenza in quel momento, contro il parere degli altri. Immagino che non tenga conto che ormai il nucleo duro della FLM a Torino è in disfatta , resistono soltanto gli irriducibili in delegazione e la Lega di Mirafiori. Il Procuratore Bruno Caccia, mai abbastanza rimpianto, ha emesso un ordine alla forza pubblica di far sgombrare ogni impedimento alle entrate degli stabilimenti e il Prefetto Emanuele De Francesco sta organizzando l’intervento coordinato di Polizia e Carabinieri.
La trattativa prosegue nel merito. Romiti mi chiama, entro per la prima volta in ristretta e mi dice guardandomi fisso: ”veda un po’ se va bene”, accennando col mento a Carniti. Lui ha in mano un foglietto scritto con caratteri nervosi e minuti, me lo da, lo leggo. E’ per una rotazione limitata ad una sola linea di montaggio della Carrozzeria di Mirafiori, di evidente valore simbolico. Annuisco, esco, modifico il testo, ne riporto dentro cinque copie, riesco.
Pierre Carniti è stato ed è un grande combattente. Molte cose ci hanno diviso, molte unito, non ultima la tensione al progresso ed al bene comune di questo nostro Paese, ancora oggi in crisi e a forte rischio. Sono certo che “noi speriamo che se la cavi”, magari con l’aiuto della Divina Provvidenza.
Carlo Callieri