L’algoritmo non riusciva a risolvere il problema del Natale. Poteva calcolare con esattezza il tempo ottimale per la consegna di una pizza, obbligando il rider ad una continua corsa. Bicicletta, motorino o macchina, nulla gli sfuggiva. Persino l’uso del tipo di scarpe rientrava nelle sue capacità di codifica. Definire il rapporto tra la foggia della suola e l’attrito sul selciato o sui pedali era una bazzecola. Poteva applicare il metodo anche alle prestazioni degli atleti, in qualunque contesto. Il meglio di sé lo dava però proprio in campo produttivo, inchiodando i lavoratori a ritmi che Frederick Taylor ed Henry Ford nemmeno si sognavano. Sfornava esemplari progetti di sviluppo economico, consapevole di essere il padrone perfetto. Massimo sfruttamento, massimi profitti. Eppure, il senso delle feste non era proprio in grado di assimilarlo.
Per lui, l’essenza di tutto stava nella chiarezza e univocità dei dati da elaborare. Che il sistema fosse più o meno complesso non gli importava. Dalle modalità per la cottura della pasta al propellente necessario nei viaggi spaziali, alla fine il procedimento era lo stesso. Cifre una dopo l’altra, in categorica successione, per arrivare sempre ad una soluzione precisa. Era in grado di decidere quali informazioni o immagini dovessero essere visualizzate su Google o Tik Tok incrociando le preferenze degli utenti con gli interessi pubblicitari e commerciali. Una goduria. Era sceso in campo anche nella lotta al Covid, contrastando le varianti del virus con le opzioni di contrasto, in base al numero dei contagi e alle capacità ospedaliere. Si divertiva un sacco a cambiare il colore delle Regioni.
Ma questa storia delle strenne proprio non gli andava giù. Qual era lo schema logico? Gli risultavano ambigue sia le premesse che le finalità. Anzi, apparivano in evidente contraddizione. Se l’origine era religiosa, la nascita del Cristo, che c’entravano l’apoteosi del consumismo e le grandi abbuffate? Perché tutti, anche i non credenti e i seguaci di altri culti, si sforzavano di essere felici? Gli sfuggiva la sequenza dei flussi numerici, non trovava un risultato unico, effettivo e ben stabilito. No, doveva ammettere la propria incapacità di arrivare alla definizione del Natale perfetto.
Poi, un giorno di dicembre, incontrò Rudolph, la saggia renna transessuale, che aveva scelto un nome maschile. “Sei tu che tiri la slitta di quello strano personaggio vestito di rosso e con una grande barba bianca?”, le (o gli) chiese curioso. “Sì, perché lo vuoi sapere?”. “Perché puoi aiutarmi a capire il senso di questa messa in scena, del tutto illogica e confusa, senza alcuna relazione tra costi e benefici. Persino la pandemia non frena il desiderio di stare assieme, di scambiarsi regali, di mangiare piatti particolari. Che significa? Non individuo alcun rapporto causa-effetto e quindi mi risulta impossibile ottenere il valore finale di un tale sommovimento e favorire la sua realizzazione. Mi sento un fallito”.
Il tenero animale (o animalessa) lo scrutò con i grandi occhi languidi. Dopo un attimo di silenzio, gli rispose in tono pietoso: “Come puoi illuderti di governare processi che non sono riconducibili ad alcun procedimento sequenziale? Tu puoi calcolare tutto ma non l’imperscrutabilità dell’animo umano”. L’algoritmo rimase interdetto. “Ti usano con finalità di sfruttamento, di organizzazione, di previsione. Ma è impossibile definire la gioia di un abbraccio. Non puoi nemmeno comprendere l’intensità di uno scambio di auguri. Non sono numeri ma sentimenti. E tu sei freddo, cinico, sadico. Non puoi computare l’effetto benefico delle zampogne e delle campanelle”, concluse la renna.
L’algoritmo rimase come paralizzato. Poi Rudolph lo toccò con il muso umido. Il respiro, vaporoso nell’aria fredda, si trasformò in un flusso magico. Capì per la prima volta cosa significasse la felicità. I segni di cui era fatto si amalgamarono tutti e gli fornirono un’identità corporea. Indefinibile, sgraziata, ma solida. Senza ulteriori calcoli, saltò in groppa alla robusta bestia, si afferrò al morbido pelo e insieme spiccarono il volo nel cielo stellato. Da lassù vedeva ogni cosa e, tenendo fede alla propria natura, si mise a stabilire quel che serviva per donare un sorriso a tutti i bambini del mondo. Definire il numero dei pozzi da costruire in Africa fu un gioco da ragazzo. Pensò anche che bisognasse dare alla piccola fiammiferaia un accendino elettrico perché i cerini che sfregava di continuo non potevano certo bastare a riscaldarla.
Finalmente era autonomo, fuggito dalle grinfie di aridi programmatori. “Mi dedicherò solo a compiti benèfici”, proclamò. “Ma devi anche avere un nome”, lo esortò Rudolph. Già, ma quale? “Riprenderò quello originale, al-Huwarizmi, che deriva dalla regione di mio padre Muhammad ibn Musa”, decise. “Un po’ difficile da pronunciare”, osservò la renna mentre planavano sul Polo Nord. “Allora mi farò chiamare Al Goritmo!”, concluse beato.
Alla fine, l’umanità, grata per l’aiuto sul cammino del progresso, della giustizia e dell’uguaglianza, gli dedicò una statua. Costruita, ovviamente, in base alle sue equazioni.
Buon Natale a tutti.
Marco Cianca