Pensare all’Italia del futuro. E’ questo il primo dei tanti pregi di un libro preziosissimo, scritto a più mani da Luigi Campagna, Mario Lizza, Luciano Pero e Roberto Rossini.
“La fabbrica delle competenze e della dignità”, pubblicato recentemente da Edizioni Lavoro, è il frutto di un’ambiziosa, quanto necessaria scommessa: non perdere l’occasione del Pnrr per migliorare, trasformare, rendere più equo ed efficiente il nostro mercato del lavoro. Quello stesso mercato del lavoro che Marco Biagi definiva come il: “più opaco d’Europa”.
Ma cosa intendiamo per “fabbrica delle competenze”, nel contesto italiano ed europeo?
Come è scritto nella prefazione di Tommaso Nannicini, il futuro del nostro paese non dipende da una valanga di soldi da spendere, da “consumare”, ma da competenze, mestieri, talenti, fatiche e sogni.
Ma tutto ciò necessità di un progetto, di una filiera coerente verso quella che gli autori definiscono, echeggiando la gloriosa, ma lontana stagione delle 150 ore per il diritto allo studio, una nuova: “era di formazione continua di massa”.
Non è un obiettivo semplice per il nostro paese, ma è pienamente in coerenza con quanto si sono prefissi i leader dell’Unione Europea nel vertice sociale di Porto, approvando un intero capitolo dedicato alle competenze: entro il 2030, almeno il 60% di tutti gli adulti europei dovrebbe partecipare ogni anno a un’attività di formazione.
La media attuale dell’Unione Europea è però più o meno ferma alla metà di questa percentuale e il nostro paese si colloca ulteriormente al di sotto di questa soglia.
Gli autori, giustamente, si pongono un corretto interrogativo: quanto gli attori (lavoratori e imprese) sono collegati con il mondo deputato alla costruzione sociale dell’offerta formativa e quanto, d’altro canto, gli enti erogatori della formazione (anche in rapporto ai sistemi istituzionali regionali) sanno rispondere e riconoscere le reali e spesso differenziate esigenze degli attori.
Al di là della retorica sulla «riscoperta della vocazione formativa dell’impresa», occorre andare più in profondità e analizzare, nella formazione professionale e continua, come strutturare quel sistema di rete che è fondamentale per innovare e rendere più efficiente la formazione nel suo complesso.
Non si tratta quindi di capovolgere il sistema della formazione in Italia, ma di rigenerarlo concretamente, accogliendo anche la sfida dell’integrazione dei sottosistemi della formazione e del welfare attivo, a partire dalla matrice della contrattazione collettiva.
Sottolinea ancora Tommaso Nannicini nella prefazione al libro: “nel piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) c’è una giusta enfasi sulle politiche attive del lavoro, di orientamento e della formazione (permanente), sugli Its e sull’istruzione professionale, non è la prima volta che questi obiettivi vengono fatti propri da documenti ufficiali”.
Per passare dalle parole ai fatti, continua Nannicini, occorrono alcuni fattori:
- Risorse finanziarie (fine delle riforme a costo zero e qui il Pnrr dovrebbe aiutarci);
- Un sistema di governance istituzionale ed amministrativa chiara che responsabilizzi gli attori pubblici, privati e del privato sociale;
- Una forte e non teorica integrazione tra politiche attive e passive
- Una visione consapevole del cambiamento
Gli autori, pur con punti di osservazione differenti (Marino Lizza si concentra sull’orientamento, Roberto Rossini su apprendistato e formazione professionale, Campagna e Pero sul raccordo tra formazione continua, organizzazione del lavoro e produttività) compongono un’analisi di sistema che è proprio ciò che manca nell’attuazione delle politiche sulla formazione e sull’apprendimento permanente in Italia.
Molte le urgenze per una sfida fondamentale per lo sviluppo, ma come giustamente afferma il titolo del volume, anche per la dignità del nostro paese.
Il disallineamento delle competenze nel mercato del lavoro, come anche sui posti di lavoro, è una delle questioni fondamentali su cui intervenire.
Occorre creare un sistema di ponti che, ad esempio, metta in comunicazione la filiera professionalizzante con gli istituti tecnici superiori, lo strumento dell’apprendistato di secondo livello con la formazione duale, l’erogazione delle politiche attive con un’azione volta a superare i disallineamenti territoriali e settoriali, l’atlante nazionale delle competenze con i sistemi di classificazione (da rinnovare) della contrattazione collettiva.
Non si tratta, lo spiegano bene tutti gli autori, di intervenire solo sulle competenze professionalizzanti: si deve operare a partire dalle competenze di base e da quelle trasversali, vere chiavi di volta per navigare in un mercato del lavoro e in un sistema produttivo in velocissima evoluzione e trasformazione.
Purtroppo sia nei territori che nelle imprese i quasi due anni di pandemia non sono stati sfruttati, pensiamo ai fermi della produzione durante i lockdown. Non si è saputo investire sulla risorsa tempo e proporre diffusamente un investimento sull’infrastrutturazione strategica da potenziare nel paese: quella, appunto, delle competenze.
La visione d’insieme, è noto e ben argomentato anche nel volume, si scontra con una tendenza a frammentare risorse e interventi, spesso dettata da una divisione regionale che parcellizza l’attuazione e l’efficacia delle politiche, aggravata da un’antica visione solo emergenziale della formazione in rapporto agli ammortizzatori sociali.
Purtroppo alcuni segnali recenti, come è stato ricordato durante la presentazione del libro presso il Senato della Repubblica lo scorso 14 ottobre, non sono particolarmente incoraggianti: si pensi, ad esempio al ritardato rifinanziamento del Fondo Nuove Competenze e alle incertezze nel rapporto e nel coordinamento Stato Regioni rispetto al progetto Goal, sull’attuazione proprio delle politiche attive.
Un tema che riguarda istituzioni come gli attori sociali, è quello del necessario rafforzamento delle politiche di match making – intermediazione – combinazione tra domanda e offerta di lavoro.
Le sfide della digitalizzazione, ma anche della transizione ecologica ci pongono poi la questione del rapporto tra politiche attive e sistemi di classificazione dei contratti collettivi, proprio a partire dai sistemi di classificazione che, con alcune importanti eccezioni, tendono a fotografare un mondo precedente al nostro, peraltro troppo spesso condizionato da una visione eccessivamente gerarchica.
Se il lavoro è attività di co-creazione, rafforzare la filiera della formazione e delle competenze è un’azione fondamentale di cura della persona sia in quanto lavoratore o lavoratrice, sia come portatrice di diritti di cittadinanza attiva.
Siamo in un passaggio di fase, in cui operare contro la disoccupazione o la mala occupazione, ha anche una funzione di tenuta del futuro sistema previdenziale.
La formazione, ci spiega il volume, non è semplicemente un servizio, ma un diritto costituzionale del lavoratore e del cittadino, a partire dall’articolo 38, secondo comma della Costituzione.
Per realizzare un ulteriore ponte tra “servizio e diritto”, occorrono coraggio e creatività sociale ed istituzionale: si tratta, in fin dei conti, di favorire con la formazione un salto di qualità del nostro sistema di welfare.
Oltre al reddito di cittadinanza come misura di contrasto di povertà occorre pensare ad una una sorta di reddito di formazione che rovesci il concetto di condizionalità attraverso la presa in carico tramite un codice di cittadinanza attiva che funga da mappatura di competenze, formazione, accompagnamento al lavoro.
Una lezione che si lega anche alle biografie degli autori, in particolare Pero e Campagna, già leader di movimenti studenteschi “riformisti” del ’68 è che non si ottengono i cambiamenti auspicabili senza dibattito pubblico e lotta sociale.
La discussione sulla formazione è, troppo spesso, materia di esperti, di addetti ai lavori, ma anche la creazione di una consapevolezza pubblica (una sorta di nuova “domanda formativa”) è parte della sfida.
Il testo qui recensito aiuta proprio in questo: si tratta di una vera e propria bussola per la politica e gli attori sociali.
Competenze e dignità: un testimone da non lasciare cadere, un’opportunità che, complice anche l’occasione irripetibile del Pnrr, non può davvero non essere colta.
Francesco Lauria, Centro Studi Nazionale Cisl Firenze.