Diceva la nonna di mia madre, “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. In questo caso a piangere è Giorgia Meloni, visto che ormai viene esclusa in Europa dai vertici e dalle decisioni che contano. E con lei piange, o dovrebbe piangere, anche Salvini, ma magari il leader della Lega non aspettava di meglio: un antieuropeista come lui non si trova facilmente. E la stessa Meloni, per quanto sia sovranista, alleata di Orban e dei polacchi e chi più ne ha più ne metta, ha dovuto far finta di credere nell’Europa. Quantomeno perché ricopre un ruolo istituzionale e soprattutto perché i soldi che ci servono per rimettere in sesto il Paese da lì arrivano.
Ma il suo europeismo è durato poco, basta vedere il gelo che passa tra lei e il Presidente francese Macron e lo stesso cancelliere tedesco Scholz, per capire che evidentemente il suo passato e le sue alleanze italiane ed europee pesano sui rapporti internazionali. Il sovranismo non è un qualcosa che si lava con un colpo di spugna, è invece un’ideologia ben precisa, un modo di pensare e di essere, un’ideologia insomma che con l’Europa che si vorrebbe costruire e che ancora si stenta a costruire (proprio a causa dei sovranisti) non c’entra niente. Diciamo pure che i sovranisti sono nemici di questa Europa, e manco lo negano. Dunque ha poco da piangere la Meloni, cambiasse linea e vedrà che in Europa troverà nuovi alleati.
Anche se certo non è facile per chi crede nell’antifascismo pensare di dover avere a che fare con un “personale” politico che conserva in salotto il busto di Benito Mussolini, e non perché gliel’abbia regalato suo padre ma perché lui ci crede ancora in quel busto. Parliamo del presidente del senato (usiamo le minuscole apposta), Ignazio La Russa. Non è facile per chi – in Italia ma anche e forse soprattutto in Europa – considera quel periodo come il peggiore, il più nefando della nostra storia. Così come dover ascoltare un ministro come Sangiuliano sostenere che Dante Alighieri è stato il profeta della destra europea. E così via, non mancano gli esempi di fascismo dei nostri tempi, quanti saluti romani abbiamo visto nelle manifestazioni di questa cosiddetta “nuova destra”. Quanti pellegrinaggi sulla tomba del duce, quanti simboli sui manifesti o dipinti sui muri, quanto razzismo (che fa rima con fascismo) traspare dalle dichiarazioni di Salvini e di suoi fedeli. Quanta violenza gratuita (anch’essa ha sapore fascista) c’è nella politica del ministro Piantedosi che se la prende con quattro poveri disgraziati che cercano di sbarcare sulle nostre coste. Che pure fossero quattrocento, quattromila o quarantamila il discorso sarebbe lo stesso: prima di tutto accoglierli, aiutarli a sopravvivere, magari offrirgli una casa e un lavoro, poi si vede se è giusto che rimangano in Italia o se debbano traslocare in un altro paese europeo, più disponibile e umano di noi. Potremmo continuare con gli esempi, ma questi bastano per capire quanto sia difficile per le democrazie europee avere rapporti sereni col nostro Paese per come è ridotto oggi.
Poi ovviamente la realpolitik vince su quasi tutto, e quindi non è da escludere che nelle prossime settimane o magari giorni o magari ore, tutti faranno la pace, anzi faranno finta di fare la pace. Fino al prossimo incidente diplomatico, che non sarà un incidente e tantomeno diplomatico, ma un fatto che nascerà da una certa presa di posizione, da un atteggiamento, da uno sgarbo istituzionale. E che sarà soprattutto politico. Perché alla fine dei giochi, quello che conta nei rapporti tra Stati, tanto più se questi Stati dovrebbero convivere in un’alleanza strategica, è la politica. Ovvero le scelte politiche che ognuno farà. E finora quella italiane non sono esattamente in sintonia con quelle europee. E neanche con più della metà del popolo di casa nostra.
Riccardo Barenghi