Sono 19,4 milioni gli italiani convinti che il Coronavirus sia stato prodotto in laboratorio e poi lasciato sfuggire, più o meno consapevolmente. L’inquietante dato emerge da un recente rapporto del Censis dedicato alla disinformazione e alle notizie false nell’era Covid. Una complessiva comunicazione improvvisata, eccessiva, ansiogena ha generato confusione e paura. Cinquanta milioni, quasi la totalità della popolazione adulta, le persone che, in una bulimica ma comprensibile fame di conoscenza, hanno cercato di farsi un quadro della situazione, per lo più senza riuscirci in maniera adeguata, corretta, equilibrata.
Le colpe maggiori sono da attribuire al Web ma “per la prima volta la pandemia ha trovato impreparati anche i media tradizionali, che hanno avuto difficoltà a governare un contesto d’improvvisa moltiplicazione della domanda, in cui hanno giocato un ruolo fondamentale la novità della malattia e i dissidi evidenti tra virologi ed esperti vari su origini e forme del contagio e sulle modalità per tutelarsi e tutelare gli altri ; tra autorità sanitarie nazionali, regionali e locali sulle indicazioni e le cose da fare in caso di sintomi ; tra le autorità politiche di ogni livello sulle decisioni rilevanti da prendere per l’emergenza”.
Ora anche il presunto ritorno alla normalità avviene in un polverone di polemiche. Questo sì, questo no, questo forse. Un’ora di coprifuoco in meno diventa terreno di scontro alla ricerca di facili consensi. Mario Draghi, nel presentare il piano nazionale di ripresa e resilienza, ha avvertito che è in gioco il destino del Paese e che “miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite”. “Sono certo – assicura – che l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti”. Insomma, per spendere bene i 248 miliardi a disposizione servirebbe un nuovo patto sociale.
Il presidente del consiglio non è certo un ingenuo né lo si può tacciare di eccessivo ottimismo. Non sappiamo se sia davvero convinto della realizzabilità di quello che auspica ma di certo sa che la zavorra delle consuetudini, delle strumentalizzazioni, del cinismo, dell’egoismo, del particolarismo, della sfiducia renderanno il viaggio molto avventuroso. E le fake news, per tornare al rapporto del Censis, costituiranno mine sempre pronte ad esplodere lungo il cammino dell’ambizioso progetto di ricostruzione nazionale.
Il punto è che andrebbe corretta quella distorsione sociale che l’emergenza sanitaria ed economica ha aumentato a dismisura. La rabbia, il risentimento, l’invidia, l’odio, il disprezzo per le élite c’erano prima e ci sono ancor più oggi.
Ed esiste un problema di rappresentanza. Chi parla a nome di chi? Anche tra le categorie più colpite dalla crisi ci sono discriminazioni. Perché locandieri e bottegai ottengono più ascolto dei milioni di invisibili, giovani, attori, musicisti, senza padrini né padroni, che non hanno diritto ad alcun sostegno? Chi spiega alle urlanti partite Iva che i tanto vituperati garantiti, lavoratori e pensionati, con le loro tasse finanziano i ristori? Quanti evasori fiscali gridano contro la cassaintegrazione?
E qui entra in gioco il sindacato, che dovrebbe far sentire alta e forte la propria voce in nome della verità. che è sempre rivoluzionaria. A nulla serve giocare in difesa. Ecco l’occasione del primo maggio. “Festa ribelle” è titolo di un libro dello storico Giuseppe Sircana che ne ricostruisce genesi ed evoluzione. Festa retorica è però diventata.
Landini, Sbarra, Bombardieri, tirate fuori l’antico orgoglio della classe operaia! Ispiratevi alle parole con le quali il deputato socialista Angiolo Cabrini salutò a Livorno, nel 1901, i delegati al congresso costitutivo della Fiom: “Entrate nel palcoscenico della vita e direte a tutti: signori, entra il lavoro”.
Bufala per bufala, c’è chi sostiene che siete complici dell’emergenza sanitaria per mantenere il blocco dei licenziamenti.
Marco Cianca