“Quel che vi fu di spirito innovatore nella Resistenza sopravvisse non tanto nella politica in cui cominciò ben presto la frammentazione…ma nella cultura…(con) l’allargamento degli orizzonti ben oltre i confini nazionali con la conseguente fine del mito di un pensiero nazionale che il fascismo aveva esasperato ma non inventato…” sono riflessioni di Norberto Bobbio ancora utili nel mentre torna di moda la antinomia fra democrazia e fascismo e l’Europa con il voto di fine maggio fa i conti con se stessa e i suoi orizzonti futuri.
La disputa fra democrazia e fascismo sarebbe meno oziosa di quel che appare dalla lite sulla presenza alla Fiera del Libro di Torino della casa editrice Altaforte dichiaratamente di ispirazione fascista nel suo ideatore e che presenta fra le sue “novità” una intervista del leader della Lega Salvini, se divenisse l’occasione per discutere realmente sullo stato della nostra democrazia e sul ruolo della politica e delle forze sociali.
Nel pensiero di Bobbio, ma non solo lui, il fascismo fu una terribile parentesi nella storia italiana, una cesura fra il periodo caratterizzato dal confronto fra i partiti prefascisti e quello successivo alla lotta di Liberazione che diede vita a partiti (che va pure detto oggi, anch’essi, non esistono più). Confortando la sua convinzione con il fatto che l’unico partito nuovo, resistenziale, ovvero il Partito d’azione fu cancellato rapidamente dalla scena politica.
Oggi questa “parentesi” sembra preda di un revival …nelle gesta dei militanti di Casa Pound, nelle rievocazioni televisive “neutre” ed asettiche del pellegrinaggio alla tomba di Mussolini, in talune affermazioni mai così esplicite di adesione al fascismo ( “Mussolini il più grande statista italiano”) la cui risposta da parte del mondo antifascista oscilla fra la rivendicazione della superiorità della democrazia sulle dittature (anche attraverso la tolleranza di tutte le opinioni) e la chiamata in causa della magistratura per condannare l’apologia del fascismo (tardogiustizialismo che francamente non appare la giusta replica che invece deve essere politica, culturale, formativa soprattutto nei riguardi delle giovani generazioni che temono per il loro futuro).
In realtà ancora una volta si sottovaluta quanto c’è di malessere nella nostra società ed in Europa, che si manifesta con noti e perniciosi sentimenti di chiusura nazionale, con richieste confuse di ordine (fino ai …gembiulini a scuola di Salvini), con la esasperazione senza mediazioni delle pulsioni di realtà sociali che si sentono emarginate ed escluse. C’è posto in questo calderone di reazioni contrastanti, di nostalgie verso un ritorno dell’uomo forte, di tante violenze che si esprimono in forme molto diverse fra loro, per la canalizzazione di esse verso una stagione di autoritarismo, considerato lo strumento più idoneo per affrontare angoscianti incertezze sul futuro? La risposta non può che essere, purtroppo, almeno in parte positiva. Tanto più che in una realtà consistente della cultura politica come quella riformista che fa capo a ciò che resta del centro sinistra e della sinistra, la democrazia è sembrata sempre più assomigliare ad un salotto buono ed esclusivo che non a caso ha partorito una cocente estromissione dal potere.
Ma allora la discussione sui rischi di un risorgente “fascismo” è l’ennesima perdita di tempo? Non proprio se si affronta la questione con l’intento di analizzare lo stato di salute della nostra democrazia e delle forme di partecipazione. La vera minaccia sottostante al rinascere di nostalgie fasciste sta come sempre nella propagazione della violenza e nella sua possibile saldatura con l’autoritarismo. Benedetto Croce nel momento in cui passa all’antifascismo intransigente offre una definizione di autoritarismo quanto mai attuale: “esso si riduce alla semplice operazione di legare le mani e tappare le bocche per imporre la propria unilaterale volontà”. Siamo vicini a questo punto di rottura con le pratiche democratiche? Domanda seria che esigerebbe approfondimenti meno legati ad una superficiale e contingente contrapposizione. Ma il filosofo liberale indica anche nei mali europei una delle cause preminenti dell’affermarsi del nazionalismo poi degenerato in regime dittatoriale. E ricorda che la restrizione delle libertà procede di pari passo con quella della democrazia nella quale si sono incuneati i germi delle dittature. E ciò avviene proprio attraverso un percorso che vede l’autoritarismo avvalersi del declino, dei limiti e delle incertezze della pratica democratica.
Si guardi all’Europa: il nocciolo della questione è sempre quello della conquista del governo dell’area dell’euro attraverso il potere decisionale dei Governi e non attraverso la forza delle idee espresse dalle varie famiglie politiche che hanno coltivato nei decenni scorsi gli ideali di un’Europa unita, aperta e promotrice di diritti e di pace. L’Europa sociale è finita fuori dai radar della politica, con la conseguenza che i nazionalismi sono emersi a seguito di troppe speranze tradite o inevase.
A questa Europa serve invece la partecipazione reale dei cittadini e dei lavoratori che non può essere confinata in un Parlamento Europeo con pochi poteri quasi fosse il paravento democratico di una governance che risponde ad altri protagonisti, facendo sopravvivere in particolare l’asse (traballante ma senza molte alternative) franco-tedesco di Macron e della Merkel. Il sovranismo del resto ha maggiori possibilità di condizionare l’Europa se deve opporsi a Governi ed elite burocratiche, rispetto a quello che potrebbe fare di fronte ad un confronto fra formazioni politiche in grado di decidere e capaci di esibire un consenso popolare consapevole e convinto.
Anhe in Italia serve una riflessione coraggiosa rispetto a quella stanca ed irresoluta pratica democratica che è in atto, quasi fosse in attesa di diventare la vittima sacrificale di un altro, inaccettabile, “ordine” politico ed istituzionale..
Il vero problema che abbiamo di fronte è proprio questo: ricostruire le ragioni di una partecipazione alla vita democratica che ricostituisca un binomio smarrito come i valori tipici del riformismo e la passione politica che sia in grado di sbarrare la strada a nostalgie del passato o a tentazioni autoritarie. Ricostruire dovrebbe essere la bussola per una nuova stagione di riformismo. Ricostruire le ragioni di una battaglia vera per una crescita economica che invece tutti gli indicatori ci dicono oggi irraggiungibile con il pericolo di infilarci in autunno in un tunnel assai inquietante per non dire disastroso, ma con proposte credibili, non solo con invettive sterili . Ricostruire le condizioni per garantire una prospettiva di Paese manifatturiero con una politica industriale degna di questo nome, un vero e proprio modello di cultura industriale che con la rivoluzione tecnologica in atto finirà come è già avvenuto per offrire soluzioni preziose anche per la intera economia e convivenza civile. Ricostruire le ragioni del ruolo dei corpi intermedi che hanno assicurato non solo tutele e diritti, coesione e solidarietà, ma anche tenuta democratica in vista di progressi economici e sociali. Ricostruire le ragioni di una formazione alla politica che sia capace nel tempo di restituire al Paese vera classe dirigente con ideali e competenze in grado di allontanare lo spettro di un declino del nostro Paese. Riconquistare insomma un tessuto sociale fragile e frammentato ad un disegno di progresso tangibile per non regalarlo alle sirene di un autoritarismo strisciante che non è rappresentato certo da qualche esibizione neofascista ma che semmai attende di manifestarsi in forme politiche ben più agguerrite e allarmanti.
Il movimento sindacale può esercitare una funzione ancora una volta essenziale: non tanto e non solo per motivare quella memoria storica che lo ha visto sempre dall’latra parte della barricata quando si è trattato di opporsi agli autoritarismi di ogni tipo. Ma anche per ravvivare l’interesse del mondo del lavoro a problemi fondamentali del Paese, con la concretezza tipica del suo agire. Abbiamo due armi, formidabili, da usare: un percorso unitario che diventi progetto di una rinnovata esperienza sindacale coinvolgente e partecipata; l’uso del nostro potere contrattuale per incidere sulle scelte economiche e di equità.
Probabilmente la fiammata di polemiche sul fascismo finirà per essere soppiantata rapidamente da altri temi. Resta però il problema di evitare che il disorientamento presente nella società scavi sotterraneamente dei vuoti nelle coscienze e nelle realtà Istituzionali, indebolendo la loro reattività. E’ quello che non ci possiamo permettere. L’assuefazione a quel che avviene, alla ineluttabilità di una decadenza della vita democratica potrebbe essere la premessa per avventure davvero pericolose. C’è il tempo ed il modo per evitare tutto questo.
Paolo Pirani