Matteo Renzi ha detto dal primo momento che la vera emergenza è il lavoro. Quello che non c’è, quello che è precario, quello che potrebbe svanire da un momento all’altro, sacrificato sull’altare di questa lunga crisi che ci sta divorando. Ed è stato subito chiaro che l’unico modo per far fronte a questa emergenza è ritrovare lo sviluppo, la crescita, solo così è possibile ricreare le basi per una civile convivenza tra le generazioni.
Il problema è capire come ci si deve muovere per ritrovare la crescita. Gli occhi sono puntati sull’Europa, perché l’Italia è costretta nel rigore dei patti comunitari e non riesce a muoversi liberamente. Proprio perché tutto ciò è evidente, Renzi ha puntato sull’Europa, basandosi anche sulla fortunata coincidenza della titolarità italiana del semestre di presidenza dell’Unione. Ma la strada è tutta in salita.
Il discorso di investitura del nostro premier a Strasburgo ha lasciato un po’ di amaro in bocca, perché la sua fermezza nel chiedere sviluppo e crescita si è scontrata, muro contro muro, con l’affermazione tedesca per cui solo il rigore può portare crescita. Sono due filosofie che si scontrano, gli italiani, e i paesi poveri, a chiedere elasticità di applicazione delle regole europee, i tedeschi e i paesi ricchi a insistere perché al contrario si continui con il rigore, anche se ci strangola e ci costringe alla recessione. Due filosofie, due diverse Europa.
E’ uno scontro, duro, che dovrà essere combattuto fino in fondo. Nulla è deciso, Renzi crede di avere le sue atout in mano e che queste siano sufficienti per arrivare a incrinare, magari anche abbattere il muro del rigore tedesco. Un aiuto importante in questa partita è venuto un’altra volta dalla Bce. Mario Draghi ha allentato i cordoni della borsa e ha assicurato che arriveranno alle banche 1.000 miliardi di euro alle banche perché le prestino a imprese e famiglie. Le prime due uscite sono state programmate per il 18 settembre e l’11 dicembre per complessivi 400 miliardi di euro. Le altre risorse arriveranno con cadenza trimestrale fino al giugno del 2016. Non è certo che sarà possibile far arrivare tutti questi soldi, perché le incertezze sono tante, ma la prospettiva di un flusso così importante di risorse può cambiare la prospettiva del nostro futuro. Draghi lo aveva promesso già da qualche settimana, come al solito ha onorato la sua promessa.
Ma tutto ciò sarà sufficiente per cominciare a demolire questa situazione di difficoltà che stiamo vivendo? Con obiettività dobbiamo dire che tutto sembra molto in dubbio. Forse perché siamo abituati alla fermezza con la quale è stata attuata in questi anni la politica del rigore, ma la possibilità di una vera svolta appare lontana, un’immagine sfocata. E purtroppo più che il pessimismo vince il realismo.
E allora dobbiamo interrogarci su cosa è possibile fare intanto in Italia senza aspettare gli aiuti dall’esterno. Cosa ci serve? Certamente un vero spirito imprenditoriale, perché devono ripartire gli investimenti, i progetti, le iniziative concrete che sappiano tramutarsi in attività e quindi in posti di lavoro. Siamo però molto carenti come spirito. Mancano i capitali, è vero, ma forse manca anche la forza che deve sottendersi a queste intraprese, il protagonismo che una volta abbondava.
E all’assenza o alla debolezza degli imprenditori privati si affianca la carenza di quelli pubblici. Non ci sono più quelle imprese pubbliche che comunque assicuravano una realtà industriale di prima grandezza, in grado poi di portarsi dietro il resto del paese. Imprese pubbliche non ci sono più, quelle poche che restano sono messe nell’impossibilità di svolgere un ruolo di volano dell’intera economia. E’ triste dirlo, ma questa è la realtà.
Dal sindacato è inutile aspettarsi qualcosa che serva alla crescita e allo sviluppo. Quello che potevano dare lo hanno dato, adesso stanno aspettando un po’ grigiamente che qualcuno si muova. Darebbero anche di più potendo, comunque nessuno glielo chiede e questo aggrava ancora di più i loro guai.
Infine c’è il governo, che si muove con frenesia, giustamente, in Europa, ma deve fare altrettanto se non ancora di più in Italia. Dal governo si attendono le famose riforme. Sono state avviate, alcune, l’impressione però è che abbiano rallentato il ritmo, che la corsa iniziale si sia in qualche modo frenata se non spenta. Certamente la loro realizzazione si è scontrata con i problemi oggettivi che non potevano sorgere. Anche perché se tante importanti riforme non sono state attuate dai governi che hanno preceduto quello di Matteo Renzi ciò è accaduto non per pigrizia o neghittosità, ma appunto perché erano molto difficili da realizzare. La speranza è che queste allora riprendano la loro corsa. Per uscire dal pantano in cui siamo serve uno scatto vero, al quale devono partecipare tutti, ma solo un’azione esemplare del governo può dar luogo al miracolo perché ciò avvenga.
Massimo Mascini