Non è stato generoso, il 2024. Ha lasciato in eredità al nuovo anno una lunga serie di problemi, tutti di difficile soluzione. Per il mondo del lavoro il più complesso è certamente il contratto dei metalmeccanici, vertenza sempre di punta. Le trattative sono state sospese, le distanze tra le parti erano troppo profonde per far finta di nulla. Il nodo è il salario, i lavoratori si aspettano un incremento generoso dopo le difficoltà portate dall’inflazione, le aziende non sono in condizione di accettare incrementi sostanziosi del costo del lavoro in un periodo di bassa congiuntura. Il clima non è cattivo, sembrano emergere disponibilità delle parti, che potrebbero portare a qualche apertura. Federico Visentin, il presidente di Federmeccanica, in un’intervista a Dario Di Vico per il Corriere dell’economia, ha lasciato intendere che potrebbe esserci un’apertura dalla parte datoriale, forse in grado di sbloccare la situazione.
Ma su questa vertenza pende un altro dei problemi lasciati insoluti dal 2024, la crisi dell’industria e in particolare della manifattura. Sono più di venti mesi che le rilevazioni statistiche evidenziano una forte difficoltà, che solo l’urgenza di quelle del settore dell’auto ha almeno in parte offuscato. La verità è che al nostro paese manca una reale politica industriale e il problema è ancora più vasto, perché sembra che il mondo della politica non abbia la percezione della crisi e quindi della necessità di porvi rimedio. L’esecutivo non sembra assolutamente in grado di elaborare una proposta che indichi una via d’uscita. Anche l’ultima novità, il balzo del costo del gas, non ha provocato un adeguato allarme.
Le relazioni industriali, al di là della vertenza dei metalmeccanici, non sembrano soffrire di particolari malanni. Ma i recenti episodi del contratto multisettoriale Confimi-Confsal, osannato dal governo al di là di qualsiasi aspettativa, e del tentativo, maldestro, sempre dell’esecutivo, di cambiare le regole della rappresentanza con la disciplina degli appalti, evidenziano un atteggiamento governativo fortemente ostile verso il sindacato e le relazioni industriali. La dice lunga il fatto che si sia dovuto muovere, con un gesto davvero insolito, tutto il Gotha dell’associazionismo datoriale per bloccare il passo falso del governo. Il fatto che sia stato costretto a una ritirata non autorizza ottimismo, potrebbe riprovarci, ogni occasione è buona per un colpo basso.
A preoccupare in questo inizio di anno è anche il clima pesante, al limite della sopportazione, dei rapporti tra le centrali sindacali. I contrasti tra Cgil, Uil e Cisl sono all’osso, con le prime due confederazioni decise ad andare avanti nell’aperta ostilità nei confronti del governo, anche a suon di scioperi generali, mentre la Cisl prosegue per la propria strada, fedele ai due pilastri della contrattazione e della partecipazione, costi quel che costi. Un pericolo evidente per il sindacato preso nel suo insieme, perché da una guerra campale non può venire che un indebolimento generale, a tutto danno della salvaguardia degli interessi dei lavoratori.
I rapporti restano ancora buoni al livello di categorie, le vertenze, anche quelle più difficili, vengono portate avanti unitariamente dalle federazioni di settore, ma c’è sempre il pericolo di un allargamento del conflitto. Nel 1984, in occasione dello scontro per la scala mobile, le divisioni tra le confederazioni coinvolsero tutto il sindacato, fino ai lavoratori che si ritrovarono divisi se non nemici in fabbrica. Una brutta esperienza che nessuno vorrebbe ripetere.
Problemi complessi, vere emergenze sociali, che sarebbe opportuno fossero oggetto di seria considerazione da parte di tutti gli interessati, soprattutto da parte di chi potrebbe intervenire per evitare il peggio. E invece sembra che nessuno si preoccupi realmente di quanto sta accadendo o potrebbe accadere a breve nel mondo del lavoro. La presidente del Consiglio continua a dichiararsi soddisfatta per gli ottimi risultati del governo. Nessuno li ha visti in realtà, ma questo sembra essere un problema del tutto secondario. Anche il rapporto Draghi, come quello prodotto da Enrico Letta, pur lodati in tutto il mondo, sono stati accolti con disattenzione o forse con l’incapacità di comprenderli fino in fondo. E si è andati avanti nel totale disinteresse per il bene comune.
Massimo Mascini