Che la democrazia non consista soltanto nel libero suffragio universale, ma anche (e a parità di valore) nei diritti civili (libertà d’espressione, di stampa, di associazione, pari opportunità, giustizia equa, certa e garantista, ecc.) è convinzione diffusamente accettata, almeno in Occidente. Cercare società in cui al requisito del suffragio universale non corrispondano le libertà non è un esercizio difficile: dall’Iran alla Russia, dal Pakistan alla Turchia, ecc. Paolo Mieli, in un suo bel fondo sul Corriere della Sera, aggiunge una considerazione: il suffragio universale è come il fonte battesimale; non esiste democrazia se non origina da libere elezioni. Il che è certamente vero, ma vista la realtà induce una domanda: il suffragio universale può anche generare mostri? La storia ci dice di sì: oltre agli esempi prima citati, non dimentichiamo che Hitler andò al potere vincendo le elezioni.
Ma queste sono questioni su cui si è sempre dibattuto, e portano spesso alla considerazione che in politica si tende a considerare informati e consapevoli gli elettori della propria parte, ignoranti e/o corrotti gli altri. Ricordo che quando Martelli fece il pieno di voti alle elezioni politiche a Palermo i professionisti dell’antimafia li classificarono senza indugio come “voti della mafia”. Quando poco dopo Orlando venne eletto sindaco più o meno con gli stessi voti , questi da voti mafiosi si trasformarono in voti “contro la mafia”.
Ma se il suffragio universale è l’unico e insostituibile generatore di democrazia, qualche riflessione è opportuno farla circa il modo, il percorso, le pressioni emozionali che nel contesto reale in cui vivono gli elettori condizionano l’esercizio di questo formidabile potere.
E’ chiaro che il principio alla base del suffragio universale è la considerazione che ogni singolo elettore fa sintesi delle informazioni che riceve riguardo la situazione concreta in cui vive, i problemi, gli aspetti positivi, quanto ostacola i suoi interessi e quanto li favorisce, e alla fine fa le somme mettendo nel bilancio anche quanto lui percepisce come interesse generale, valutando quanto sia funzionale al suo proprio.
Questo presuppone, in una situazione ideale, un’informazione accettabilmente obiettiva e diffusa, una consapevolezza passabile della realtà. Che questo sia stato effettivamente nelle consultazioni elettorali del passato, ed in quale misura, non saprei. Però mi sembra che in questo momento il contesto vada in tutt’altra direzione. E non solo il Italia, ma in tutto l’Occidente.
Non voglio fermarmi sull’impresentabilità di candidati come Trump, ma sull’informazione e la comunicazione che li genera. Che sono fondamentalmente false, attingono a luoghi comuni legittimandoli (un maestro, Casaleggio, diceva che se una informazione diventa virale diventa vera…), fanno da megafono a idiozie e isterie che (come diceva Umberto Eco) un tempo erano proprie dell’idiota del villaggio, e come tali considerate, o delle chiacchiere del barbiere o del bar.
La disinformazione è stata protagonista nel referendum britannico sulla Brexit, con i tabloid che davano notizie inverosimili e il dibattito politico surreale, una gara a chi la sparava più grossa senza nessun riguardo per la realtà o almeno per la verosimiglianza. Le elezioni in Mecklenburgo-Pomerania sono state un referendum contro l’immigrazione, che in quel land non esiste. In Italia il linguaggio della politica è tra il grottesco e l’irresponsabile: al Governo si danno “avvisi di sfratto” (il che indica quale sia la visione che si ha delle istituzioni e del servizio allo Stato: arcaica e proprietaria); se al referendum vince il sì “tireremo fuori gli schioppi”; la riforma costituzionale è pensata per “instaurare un regime autoritario”; l’Italicum è finalizzato a produrre un Parlamento di nominati e non di eletti (ma a Bersani, Berlusconi, Calderoli, andavano bene quando c’era il Porcellum perché erano i loro nominati…).
Su qualunque questione manca totalmente la volontà di discutere nel merito: tutto è spiegato e se necessario inventato a vantaggio della propaganda.
Non che la credulità popolare, la diffusione ad arte di menzogne e le sue tragiche conseguenze siano una novità: basti pensare alla caccia alle streghe nel XVI e XVII secolo. Ma adesso, oltre al fatto che disinformazione, superstizione ( pensare al pregiudizio contro OGM, gas scisto, nucleare, e in genere a tutti gli interventi cui si oppone il nimby), credulità e ignoranza sono dilatate grazie ai media, c’è il fatto che tutto ciò incide direttamente sull’esercizio di quello che Mieli, come detto, considera il fonte battesimale della democrazia: il suffragio universale
Vi sono scelte che emergono dalle consultazioni popolari che vanno con ogni evidenza contro gli interessi reali dello stesso elettorato: vogliamo pensare a come migliorerà la vita del popolo americano quando, con Trump presidente, sarà isolato dal mondo da barriere doganali e politiche? E se i populisti dovessero vincere in Europa, ci immaginiamo lo spasso delle economie italiana, francese, tedesca, senza l’euro a fare i conti col mercato globale? O vogliamo farla finita con la globalizzazione? Forse sarà necessario spiegarlo a sudamericani e asiatici, che non han più tanta voglia di riconoscere privilegi all’Occidente.
Ma questi temi non sono visibili per la stragrande maggioranza di chi vota: son più gratificanti le sparate dei populisti. Non solo: prende piede un’ideologia dell’elogio dell’ignoranza e dell’insofferenza per la documentazione, la verifica dei fatti, il riconoscimento della complessità dei problemi (“il popolo britannico è stufo degli esperti” si è gridato durante la campagna sulla Brexit).
E allora mi faccio una domanda alla quale, peraltro, non so dare risposta: se il fonte battesimale della democrazia, il suffragio universale, è inquinato, la democrazia si prenderà qualche brutta malattia?
Temo di sì, ma non vedo alternative che non siano una sospensione o una limitazione della democrazia stessa: qualcuno spiegherà che in Cina e in generale nel Sud Est Asiatico c’è poca democrazia ma molta crescita economica… Ma in questo modo la democrazia cancella se stessa: chiudere il fonte battesimale inquinato vuol dire non fare più battesimi. Ma, fuor di metafora, disinquinare coscienze e mentalità e ben più difficile che disinquinare fonti!
I liberi cittadini elettori ammazzeranno la democrazia? E’ un’ipotesi da non escludere. In fondo la democrazia come la conosciamo noi esiste da meno di duecento anni: credo che nel pianeta siano molti quelli che pensano che se ne può fare benissimo a meno…