Il Centro Studi Adapt, fondato da Marco Biagi, ha pubblicato un working paper a firma di Francesco Seghezzi e Jacopo Sala sulla “grave e inedita crisi dell’offerta di lavoro”, un tema molto sollevato dalle imprese a cui, però, le organizzazioni sindacali dedicano poca attenzione come se sottovalutassero il fenomeno e restassero caparbiamente ancorati ad un modello tradizionale del mercato del lavoro, funestato dalla disoccupazione (soprattutto giovanile) e dalla precarietà. Secondo gli autori, invece, “ci troviamo di fronte ad un inedito scenario di crisi dell’offerta di lavoro che introduce degli elementi di novità con i quali tutti gli attori coinvolti non si sono mai dovuti confrontare. Lo scenario è altamente preoccupante e nel panorama internazionale l’Italia si colloca in una posizione di svantaggio considerata la popolazione più anziana e il calo delle nascite più marcato. Per le imprese significherebbe poter contare su una offerta di lavoro molto inferiore rispetto a oggi, a fronte di una domanda della quale non conosciamo oggi le evoluzioni”. Questo scenario tuttavia, ci porta ad osservare con minori preoccupazioni gli effetti delle nuove tecnologie sui livelli di occupazione, a proposito delle quali è fino ad ora prevalente una prospettiva di una “macelleria sociale”. Anche questa è una narrazione che deve essere invertita, perché – se letto in quest’ottica – il tema degli impatti occupazionali della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale – sottolinea il paper – assume un peso differente, con la necessità, già oggi, di utilizzare queste nuove tecnologie per sostituire quei lavori e quelle mansioni per le quali sarà più difficile trovare lavoratori”. In parole povere – a quanto è dato di comprendere – non manca il lavoro (salvo situazioni specifiche che continuano ad esistere), ma i lavoratori; e le nuove tecnologie anziché espellere lavoratori supplirebbero alla loro inadeguatezza rispetto al fabbisogno: una inadeguatezza che non dipenderebbe solo da elementi qualitativi (le competenze), ma da vere e proprie dimensioni quantitative ridimensionate dalla falcidia della denatalità.
Obiettivo del working paper, secondo gli autori, è quello di analizzare i vari aspetti della crisi dell’offerta di lavoro, sia dal lato demografico sia da quello della sottoccupazione per tracciare un quadro che consenta di cogliere la complessità della situazione, anche per poter orientare le politiche del lavoro verso interventi che possano contribuire a invertire il trend di un inesorabile declino.
In sostanza, secondo le tesi sostenute nel paper, il mercato del lavoro italiano si sta svuotando. Se per anni ci siamo occupati del mercato del lavoro principalmente dal lato della domanda (tema ancora attuale per molte ragioni), oggi stiamo assistendo – secondo gli autori – a una crisi senza precedenti dell’offerta di lavoro. Potrebbe apparire un’affermazione in contraddizione con i dati positivi sull’occupazione che si stanno susseguendo ormai da quasi tre anni, ma non è così. Che il numero di occupati cresca è innegabile, ma lo è anche il fatto che le persone in età da lavoro (quelle tra i 15 e i 64 anni) diminuiranno inesorabilmente nei prossimi anni, a causa delle conseguenze del calo demografico. In pratica si riducono al denominatore le platee sulle quali si calcolano le percentuali al numeratore.
Si tratta di uno scenario inedito che si somma al sotto-utilizzo della forza lavoro in Italia (sottoccupazione, part-time involontario, inattività ecc.) e davanti al quale sarebbero necessarie soluzioni inedite che chiamano in causa tutti gli attori del mercato del lavoro, i quali invece insistono nel rammendare le solite vecchie calze.
Dalle elaborazioni presentate nel working paper, già nel 2030 il numero di occupati in Italia subirebbe un calo del 3,2%, contro lo 0,6% della media europea, a causa della maggiore incidenza degli effetti demografici nel nostro paese. Questo significa che fra meno di 6 anni vi è la quasi certezza che ci saranno 730 mila lavoratori in meno, anche se la percentuale di persone occupate rispetto alla popolazione occupabile restasse invariata. Se si estende la proiezione sul 2040 e poi sul 2050, la situazione peggiora drasticamente, con l’andamento italiano sempre più critico rispetto alla media europea. Già nel 2040, fra meno di vent’anni, il calo di occupati in Italia arriverebbe al 13,8% e al 20,5% nel 2050. Tradotto in numeri assoluti, nel 2040 si stima ci saranno 3,1 milioni di lavoratori in meno e nel 2050 il calo arriverebbe a 4,6 milioni. Se poi si considera la distribuzione degli occupati per fasce d’età, si può vedere come la riduzione colpisca in modo trasversale tutta la popolazione lavoratrice e soprattutto si nota la rapidità del processo: nel 2030, nella fascia 35-49 anni i lavoratori saranno il 10,8% in meno, un calo di quasi un milione. Nel 2050, nella fascia 50-64 anni si prevede una riduzione della forza lavoro pari a oltre 2 milioni di unità, il 26,5%. E mentre cala la forza lavoro nelle fasce più adulte della popolazione, tra i 15 e i 34 anni i lavoratori aumenteranno dello 0,9% nel 2030, per poi calare progressivamente, fino al 2040 quando ci saranno 450 mila lavoratori in meno e oltre un milione di lavoratori in meno nel 2050.
La transizione demografica
In Italia, così come in altri paesi europei e non solo, è in corso quella che può essere definita una vera e propria transizione demografica animata da due dinamiche tra loro interconnesse. Da un lato, l’invecchiamento della popolazione, dovuto all’incremento dell’aspettativa di vita (giunta a 83,1 anni) e al progressivo raggiungimento dell’età pensionabile da parte dei c.d. baby boomers, sta portando a un significativo aumento della quota di persone in età avanzata sul totale della popolazione. Dall’altro lato, il persistente calo delle nascite, influenzato da fattori tanto socio-economici quanto culturali comporta un restringimento alla base della piramide demografica, pur considerato il positivo apporto della componente migratoria. Insieme,questi due fenomeni stanno trasformando radicalmente la demografia italiana con importanti conseguenze sul mercato del lavoro, in particolare dal lato dell’offerta.
L’invecchiamento della popolazione
I dati Eurostat più aggiornati mostrano come, tra il 2014 e il 2023, la quota di persone con un’età compresa tra i 50 e i 64 anni sia aumentata del 5,8% in Europa (+5,2 milioni) e del 14,8% in Italia (+1,8 milioni). Se si considera l’evoluzione della quota di persone anziane con un’età superiore o uguale ai 65 anni, si osserva una crescita del 15,6% in Europa (+12,9 milioni) e del 9,3% in Italia (+1,2 milioni). Nello stesso periodo, la proporzione di giovani con un’età compresa tra i 15 e i 34 anni si è ridotta del 5,4% in Europa (-5,8 milioni) e del 6,1% in Italia (-781 mila). Rileva notare che in Italia il calo più marcato ha riguardato la quota di adulti tra i 35 e i 49 anni, un decremento pari al 17,6% (-2,5 milioni).
Il calo delle nascite
Insieme all’invecchiamento della popolazione, il calo delle nascite rappresenta uno dei principali fattori che influenzano in modo diretto la transizione demografica in corso. Nel 2023 il tasso di crescita naturale, definito come il rapporto tra il saldo naturale (cioè la differenza tra il numero di nascite e il numero di decessi) e la popolazione media di quell’anno per ogni 1.000 persone, ha registrato un valore negativo sia per l’Europa (-2,6) che per l’Italia (-4,8). Ciò significa che, nel 2023, per ogni 1.000 abitanti vi è stata una diminuzione netta della popolazione di 2,6 persone in Europa e di 4,8 persone in Italia, dovuta al decremento naturale della popolazione (ossia al fatto che vi sono stati più decessi che nascite nel corso dell’anno).
L’occupazione
Un’analisi dettagliata dei trend occupazionali per classi d’età rivela come i cambiamenti demografici in atto stiano influenzando il mercato del lavoro. Se si osserva l’andamento dell’indice di occupazione (2014–2023) rispettivamente in Europa e in Italia per le diverse fasce d’età si può facilmente intuire come il tasso di occupazione riferito ad entrambi i territori sia aumentato per tutte le classi d’età. In Europa, tra il 2014 e il 2023, l’indice è cresciuto di 5,7 p.p. per la fascia 15-34 anni (dal 52,1% al 57,8%), di 4,7 p.p. per la classe 34-49 anni (dal 78,3% all’83%) e di 10,3 p.p. per quella 50-64 anni (dal 59,2% al 69,4%). In Italia, l’aumento è stato del 6 %. per la classe 15-34 anni (dal 39% al 45%), 5,2% per quella 35-49 anni (dal 71,1% al 76,3%) e del 9,2 %. per la fascia 50-64 (dal 54,1% al 63,4. L’incremento più significativo, sia nel caso dell’Europa che nel caso dell’Italia, si è avuto per la classe d’età più avanzata (50-64 anni). Questo fenomeno evidenzia un progressivo invecchiamento del mercato del lavoro, riflesso diretto dell’invecchiamento generale della popolazione, e segnala una trasformazione strutturale nella composizione demografica della forza lavoro.
Posti vacanti e disoccupazione
Una delle conseguenze dirette della contrazione dell’offerta di lavoro è l’incremento del numero di posti vacanti nelle imprese negli ultimi dieci anni in Europa e in Italia. L’indicatore, calcolato da Eurostat su base trimestrale, è aumentato in entrambi i territori in maniera costante (con l’eccezione del periodo di crisi pandemica). Nel dettaglio, tra il quarto trimestre del 2014 e il quarto trimestre del 2023, si è registrato un incremento pari all’ 1,2 % a livello europeo (indice riferito alle imprese di qualsiasi dimensione) e all’ 1,3 % a livello nazionale (indice riferito però alle imprese con 10 o più addetti). Con riferimento all’orizzonte temporale 2016–2023, per cui sono disponibili anche i dati italiani sulle imprese di qualsiasi dimensione, la crescita è stata dello 0,9 %. per l’Europa e dell’1,5 % per Italia. Se si considera il tasso di posti vacanti nelle imprese italiane con 10 o più addetti, le stime indicano che nell’ultimo trimestre del 2016 meno dell’1% delle posizioni lavorative è risultato vacante, mentre nell’ultimo trimestre del 2023 quasi il 2% ovvero è quasi raddoppiato.
Un quadro dettagliato dei trend occupazionali nei 27 Stati dell’UE nel periodo 2014-2023 mostra che, nella maggior parte dei paesi, si è registrato un aumento generalizzato dei tassi di occupazione in tutte le fasce d’età. Tuttavia, questa crescita non si traduce sempre in un corrispondente aumento del numero assoluto di occupati. Infatti, nelle fasce d’età più giovani (15-34 anni) e in quelle intermedie (35-49 anni), nonostante l’incremento degli indici di occupazione, in molti Paesi il numero assoluto di occupati rimane stabile, cresce in misura limitata o addirittura diminuisce. Oltre all’Italia, un esempio emblematico di questa dinamica è la Germania, dove il numero di occupati della classe 35-49 anni si è ridotto di oltre 850 mila unità, a fronte di un incremento del tasso di occupazione di circa il 2 %. Questa discrepanza tra l’andamento dei tassi di occupazione e il numero effettivo di occupati riflette l’impatto della transizione demografica, illustrando una progressiva riduzione della popolazione in età lavorativa in molti Paesi europei. Nella fascia 50-64 anni, sia i tassi di occupazione che il numero di occupati mostrano aumenti consistenti in quasi tutti gli Stati dell’UE (con incrementi dei tassi di occupazione compresi tra il 2,8 e il 24,2 %, nonché aumenti del numero assoluto di occupati fino a 2,4 milioni di unità).
Giuliano Cazzola