L’azienda contesta al lavoratore due giorni di assenza dal lavoro per aver prodotto una certificazione medica rilasciata in data successiva e, dunque, a giudizio dell’impresa non valida in quanto retroattiva; nell’assenza di un altro giorno, per aver omesso di comunicare preventivamente la prosecuzione dello stato di malattia (comunicazione comunque inviata il giorno successivo); nel fatto che, sempre in costanza di malattia, destinata a cessare dopo ulteriori tre giorni, si era presentato sul luogo di lavoro intorno alle ore 15,00, intrattenendosi nella sede dell’impresa fino alle ore 16,45, per poi allontanarsene a bordo di uno scooter guidato da un collega. Dedotta l’infondatezza dei fatti contestati, il lavoratore chiedeva al tribunale, l’annullamento del licenziamento per giusta causa, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e risarcimento del danno; in subordine chiedeva la condanna della datrice di lavoro al solo risarcimento del danno.
A seguito dell’istruttoria testimoniale e documentale disposta dal giudice era emerso che, dei tre fatti in contestazione, solo due apparivano assumere un rilievo disciplinare e che tali due addebiti risultavano punibili ai sensi del contratto collettivo nazionale di lavoro, applicato dalle parti, con sanzioni di tipo conservativo.
Il lavoratore, per essere stato assunto in epoca successiva al 7 marzo 2015, è destinatario della disciplina del Jobs act che, diversamente dai lavoratori assunti in epoca precedente, non prevede l’applicazione delle norme del contratto collettivo in materia disciplinare con la conseguenza che il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo deve essere ritenuto disciplinato in modo esclusivo dall’articolo 2119 del codice civile. Il Tribunale di Catania ha dubitato della costituzionalità della norma del Jobs act per violazione dei principi di uguaglianza e per irragionevolezza della norma ed ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale perché decidesse sul punto.
La Corte Costituzionale ha rigettato l’eccezione di anticostituzionalità ma ha colto l’occasione per dare l’interpretazione costituzionalmente corretta delle norme impugnate adeguandole ai principi fissati nella Costituzione. Con questa interpretazione adeguatrice ha ritenuto che le norme del contratto collettivo in materia disciplinare si devono applicare anche ai lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 così come avviene per i lavoratori assunti in epoca precedente. Se così non fosse “si andrebbe ad incrinare il tradizionale ruolo delle parti sociali nella disciplina del rapporto e segnatamente nella predeterminazione dei canoni di gravità specifiche condotte disciplinarmente rilevanti”.
Per la Corte Costituzionale “Le previsioni della contrattazione collettiva sono espressione dell’autonomia negoziale di entrambe le parti, sì che la predeterminazione della sanzione conservativa consente al datore di lavoro di conoscere in anticipo la gravità di specifiche inadempienze del lavoratore e quindi di adeguare ex ante il provvedimento disciplinare senza correre il rischio di dover subire l’alea di un successivo giudizio di proporzionalità; se la ratio del ridimensionamento della rilevanza del sindacato di proporzionalità, recato dal d.lgs. n. 23 del 2015, è anche quella di garantire maggiore certezza, tale finalità risulta ampiamente soddisfatta dalla puntuale tipizzazione operata della contrattazione collettiva.” Sentenza Corte Costituzionale numero 129 pubblicata il 17 luglio 2024.
Con questa interpretazione la Corte Costituzionale ha adeguato la normativa del Jobs act al parametro costituzionale. La sentenza della Corte Costituzionale salvaguarda la contrattazione collettiva e nel contempo ha dato un’interpretazione della norma che impedisce qualsiasi giusta disparità di trattamento dei lavoratori togliendo ogni irragionevolezza del quadro normativo che si era delineato.
Biagio Cartillone