Come Carneade, nei Promessi Sposi, viene evocato come un ignoto personaggio del passato, cosi la Concertazione rischia di essere accantonata nel dimenticatoio del magazzino dei “vecchi attrezzi” delle Relazioni Industriali.
In un recente incontro con studenti universitari sul tema, assai ampio, della storia delle Relazioni Industriali in Italia, mi sono dovuto soffermare, non poco tempo, sul concetto di concertazione.
Ai più il termine, se non sconosciuto, era del tutto incompreso, in ogni sua valenza sia storica che concettuale. Nessun riferimento alle esperienze nord europee, nessun aggancio alla storia del sindacalismo italiano nel secondo dopoguerra, insomma nessun vero approfondimento della tematica e delle sue complesse implicazioni.
Ovviamente ogni riferimento al neo-corporativismo, veniva confuso con un nostalgico richiamo al ventennio (questo da parte dei più politicizzati).
Lasciamo poi stare, le scontate dichiarazioni di coloro che parlando di intese tra Governo e sindacati, assimilavano queste ad un evidente “cedimento al neo-liberismo”, per non dire delle confuse idee sulla “globalizzazione”, madre di tutte le sciagure sociali, non solo nell’emisfero occidentale.
Con una certa fatica ho dovuto spiegare, come fece, molto meglio di me, Eraldo Crea, sindacalista della CISL, in un lucido articolo su “Conquiste del Lavoro”, quotidiano cislino, agli albori degli anni ’80, che il processo di globalizzazione sarebbe stato inevitabile; non fosse solo che per dare la giusta risposta alle esigenze di emancipazione economica ai due terzi della popolazione terrestre che si sentivano esclusi dai vantaggi della crescita economica. Come Crea aveva previsto, tale processo poteva svolgersi in due dimensioni, o all’interno di una maggiore crescita complessiva “della torta” e allora ognuno avrebbe mantenuto la sua fetta e qualcuno l’avrebbe anche aumentata, con pieno diritto; oppure in una dimensione di scarsa crescita complessiva, in questo caso l’inevitabile e giustificato processo di spostamento della ricchezza mondiale verso altri emisferi, non poteva che comportare, nel medio periodo un processo di impoverimento del ceto medio produttivo in Europa e più in generale in occidente.
Credo si sia realizzato, in prevalenza il secondo scenario, seppur con qualche breve momento di crescita del PIL nei paesi occidentali. In questo scenario le “forze del Lavoro” (consentitemi di chiamare cosi le rappresentanze collettive dei datori di lavoro e dei lavoratori) si sono dovute cimentare con nuove e diverse sfide.
Eredi della propria forza contrattuale, in una prima fase esse hanno, come si dice in gergo, messo sul tavolo del confronto politico la loro forte rappresentanza, nel tentativo di “concertare” appunto un nuovo quadro di riferimento per la propria azione di tutela degli interessi rappresentati.
In questa fase abbiamo assistito a un vero e proprio attacco concentrico, non solo da parte degli schieramenti anti sindacali ma anche da parte di qualche “alleato” contro ogni ruolo del sindacato in quanto “soggetto politico”, tale ruolo avrebbe minato la purezza della rappresentanza “parlamentare”.
Poco importa che sulle spalle di quella responsabilità il sindacato, quasi tutto, si fece carico di accordi che impedirono all’Italia di scivolare verso la bancarotta.
Per inciso, noto che nel 1973 (all’inizio della crisi energetica) il legislatore “rappresentante degli interessi generali” sfornava provvedimenti come le pensioni “Baby” (nel Pubblico impiego, si poteva andare in pensione dopo 19 anni, di lavoro, sei mesi e un giorno, se uomini e 15 anni sei mesi un giorno se donne).
La concertazione veniva cosi derubricata a “tattica” e non “strategia”, come se questo dovesse consentire al sindacato di “tornare” alla sue antiche e “pure” origini di rappresentanza di classe (..intanto il mondo cambiava e anche velocemente).
Infine negli ultimi anni la concertazione si è via via ridotta a mera consultazione, con qualche riformista che pure teorizzò la “disintermediazione” confondendo la concertazione con il nefasto potere di veto sindacale, che in molte occasioni veniva invocato dalla “politica” per non decidere.
Ora manca persino un metodo concertativo, si naviga a vista, ciascuno sperando di portare a casa qualche piccolo intervento sulle pensioni o sulla decontribuzione, il ruolo delle Confederazioni sbiadisce e diventa sempre più evanescente, lasciando alle sole categorie il compito di continuare a fare il proprio “mestiere” contrattuale, qualche volta con nobili risultati, qualche altra con inevitabili ritardi.
Come “Carneade” la concertazione rimane un lontano ricordo e rischia di essere dimenticata non solo per colpa della “tradizionale politica”, gelosa della propria insufficiente rappresentanza, ma anche per colpa di quei soggetti che in essa non hanno mai voluto davvero credere.
Luigi Marelli